Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana - Fascicolo 96

DÒTA 1 DOTå dotá ≠ dòta 1 DÒTA 1 (d ä ta) s.f. Dote. V a r.: dóta , dòta , dòte ; dòto (Sementina, Monteca- rasso, Chironico, Bironico). 1. Dote, insieme dei beni recati dalla moglie al marito all’atto del matrimonio 1.1. I documenti più antichi che consentono di cogliere le principali caratteristiche del regime matrimoniale risalgono, almeno per l’attuale Canton Ticino, alla metà del xIII secolo: a se- conda del prevalere del diritto romano o del con- servarsi del longobardo, il diritto famigliare si presenta come una mescolanza di elementi ete- rogenei, con larghe tracce di promiscuità a li- vello di regole, usi e nomenclatura [1]. Da una parte, il sistema matrimoniale longo- bardo (instauratosi dal VII secolo), oltre a preve- dere la comunione dei beni tra marito e moglie, includeva anche una donazione da parte del pa- dre della sposa (il cosiddetto faderfio, corrisposto a titolo di successione anticipata) e un donativo portato dal marito (la «morgengabe» o ‘dono del mattino’, il cui scopo era quello di indennizzare la donna che, uscendo dalla famiglia d’origine, per- deva il diritto all’eredità paterna) [2]. Dall’altra, nel sistema dotale reperibile negli statuti in uso dal xIII secolo fino ai primi dell’Ottocento vigeva innanzitutto il regime della separazione dei beni tra i coniugi, che permetteva loro di conservare la proprietà dei rispettivi averi. Secondo questo si- stema la nubenda portava al marito la dote che, come nel diritto longobardo, rappresentava la li- quidazione dei diritti della donna nei confronti dell’eredità paterna. Quale riscontro all’asse- gnazione della dote, il marito si impegnava a istituire una «donatio propter nuptias» in favore della moglie: si tratta della cosiddetta contro- dote ovvero antifato (cfr. ≠ antifacc ), una con- troprestazione avente principalmente la funzione di tutelare la donna in caso di vedovanza (non a caso l’antifato veniva pagato soltanto al momento del trapasso del marito), il cui valore corrispon- deva di regola alla metà dell’ammontare della dote [3]. Tale riscontro al patto nuziale da parte del consorte era assicurato da una garanzia le- gale che prendeva il nome di pegno, ipoteca o an- cora, tipicamente in territorio lombardo, di «con- sultum». Toccava al padre (o, in sua assenza, a un fra- tello o al più prossimo parente di sesso maschi- le) mettere a disposizione la dote; in ogni caso l’apporto della donna al momento delle nozze do- veva essere superiore a quello dato dal marito. Parallelamente, la donna acconsentiva alla ri- nuncia, quando esistevano eredi maschi, a tutti i diritti ereditari provenienti dai genitori. L’en- tità e le modalità di pagamento erano fissati in un atto notarile, il cosiddetto «instrumentum do- tis et antifactum», affidato a un notaio il quale si atteneva in genere a uno schema di stesura con- solidato [4]. Già nel tardo Medioevo sia la dote di una figlia che andava a nozze, sia l’antifato messo a dispo- sizione dallo sposo erano tendenzialmente costi- tuiti da somme in denaro; si vedano a questo proposito le disposizioni contenute negli statuti civili di Lugano del 1696, che davano alla donna il diritto di ricevere la dote in denaro e non in beni [5]. Anche nella prassi testamentaria dei ba- liaggi di Lugano e Mendrisio ( xVII secolo) la dote è quasi sempre indicata in denaro e accompa- gnata dal corredo che, tuttavia, nei casi di fami- glie relativamente poco abbienti poteva anche arrivare a costituire l’intera quota dotale [6]. Al momento del contratto, quindi, i padri si as- sumevano l’obbligo di versare la dote in denaro contante; nel caso di problemi di liquidità alcuni ricorrevano a un prestito, altri optavano per un versamento a rate oppure per la cessione in pegno di un bene immobile per il valore concordato, da riscattare poi una volta versata la somma stabi- lita come dote. Non sono rari i casi di famiglie che, soprattutto nell’ambito rurale tradizionale, si sono ridotte in miseria a causa di un debito da estinguere protrattosi sull’arco di più decenni [7]. La dominazione confederata nei secoli xVI - xVIII non ha lasciato tracce significative sulla legisla- zione dei baliaggi cisalpini, nei quali, fino alla prima codificazione ticinese, hanno continuato so- stanzialmente a valere gli antichi statuti. Nel 1838, quando in Ticino entra in vigore il nuovo co- dice civile cantonale, le disposizioni in materia di diritto familiare e successorio contemplano l’abo- lizione dell’obbligo di dotare le figlie. Questa mo- difica legislativa sancisce di fatto l’equiparazione della donna all’uomo in ambito ereditario [8]. An- che nella codificazione del 1882 poco o nulla viene cambiato rispetto a quanto prescriveva la legge adottata dal Parlamento ticinese nel 1838: le mo- difiche riguardanti il diritto famigliare, e spe- cialmente il regime matrimoniale, non toccano «quei soggetti da cui sono esclusi non solo l’inge- renza federale, ma anche i cambiamenti repen- tini perché regolati dai costumi e dalle tradizioni radicate nel popolo» [9]. Quello dotale diventerà dunque solo uno dei possibili regimi, vivo presso i ceti agiati della borghesia cittadina, e soprat- tutto nei distretti di Lugano, Mendrisio, Locarno e Bellinzona: a titolo di esempio, tra il 1880 e il

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