Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport
Discorso
Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport
11 ottobre 2023
Contributo della Consigliera di Stato Marina Carobbio Guscetti al Convegno “Che genere di violenza. Decostruire gli stereotipi: quale ruolo dell’educazione e della comunicazione?” Mendrisio, 11.10.2023
- Fa stato il discorso orale -
Egregio sindaco di Mendrisio,
gentile capa dicastero Politiche sociali e Politiche di genere,
gentile delegata alle pari opportunità della città,
care professoresse e cari professori, ricercatrici e ricercatori,
gentili signore e signori,
a nome del Consiglio di Stato desidero cominciare con un grazie, sincero, alla città di Mendrisio per la serietà e la determinazione con cui sta affrontando temi così importanti come le disuguaglianze e le violenze di genere. La gratitudine del Consiglio di Stato va naturalmente anche ai co-organizzatori del convegno odierno, SUPSI, “Zonaprotetta” e “Generando. Visioni di genere”.
La città di Mendrisio ha il merito di essersi dotata di un Piano d’azione comunale delle politiche di genere. E ha il merito ora concretamente di puntare i riflettori su tematiche che toccano da vicino il territorio, i quartieri, le case, i palazzi, gli spazi pubblici come pure le aule scolastiche e i media.
Quello delle disuguaglianze e delle violenze di genere è un tema che concerne la società tutta e, in quanto tale, va affrontato con ogni mezzo a disposizione e a più livelli. È fondamentale avanzare nei fori internazionali, ma anche a livello svizzero, cantonale, comunale per l’appunto, in stretta collaborazione con il mondo della ricerca e della formazione, assieme alla società civile, ai cittadini e alle cittadine.
In Svizzera e in Ticino si stanno facendo sforzi su più fronti, ad esempio per la messa in atto della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Nel 2021 il Consiglio di Stato ticinese ha adottato il Piano d’azione cantonale per la sua attuazione. La violenza di genere – questo è un dato di fatto – non è oggi più considerata una questione privata ma un problema che riguarda la società nel suo insieme.
Ciò detto, le cifre restano raccapriccianti. Se guardiamo all’intero paese, nel solo 2023 [dato odierno, tratto da Stop Femizid], in Svizzera sono state 16 le vittime di femminicidio e 3 le donne sopravvissute a un tentativo di femminicidio. Per non parlare delle altre forme di reato e delle altre espressioni di violenza, fisica, ma anche sessuale, psicologica, economica. E di tutte le discriminazioni a causa dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale. Sono dati allarmanti che impongono di continuare a investire nella prevenzione e anzi a moltiplicare gli sforzi.
Quello che è oggi indispensabile è un lavoro a tappeto verso un vero e proprio cambiamento di paradigma culturale: verso una società scevra da violenze (e priva di violenze di genere nello specifico), una società in cui i conflitti possano essere affrontati senza l’uso della forza, una società in cui la diversità sia davvero considerata una ricchezza, in cui a dominare sia la forza della gentilezza. Anche nei momenti difficili.
E in relazione al lavoro da fare a livello culturale, fondamentale è investire sulle “parole”: contrastando il linguaggio dell’odio, favorendo una comunicazione inclusiva e rispettosa di tutte le identità, promuovendo l’uso di termini appropriati per descrivere i singoli fenomeni. Nel 2020, ancora a Berna, avevo depositato una mozione per correggere l’articolo 113 del Codice penale svizzero in italiano e in francese, chiedendo di sostituire il riferimento alla “passione” – “omicidio passionale” – con un termine neutro. La mozione non era stata accolta per pochi voti, ma il tema aveva avuto ampia risonanza, grazie anche a un’interpellanza per misure concrete per eradicare il femminicidio. Il femminicidio, un termine preciso, per l’appunto, che sta a indicare le cose esattamente come purtroppo stanno, ovvero l’uccisione di donne in quanto donne.
Cultura, linguaggio e scuola. Per un tale cambiamento di paradigma è cruciale passare pure dall’educazione. Svariati sforzi sono già in atto. Numerosi docenti vi stanno lavorando, promuovendo il rispetto nelle relazioni sin dalla scuola dell’infanzia e dalle prime classi delle elementari, investendo sull’educazione della persona (che include l’educazione sessuale[1]), decostruendo gli stereotipi di genere, anche ad esempio nelle scelte degli indirizzi di studio e di formazione professionale... Perché per educare alla non violenza e al rispetto è necessario lavorare sin dall'infanzia, e poi a tutte le età, sulla creazione di relazioni positive, paritarie, non stigmatizzanti.
Ciò che è certo, è che la violenza può essere contrastata efficacemente solo attraverso un’azione congiunta della politica e della società tutta. Grazie dunque ancora per la preziosa occasione di riflessione odierna.
[1] In Ticino: “L’educazione sessuale a scuola: raccomandazioni operative” (già nel 2006, poi versione rivista 2016): https://scuolalab.edu.ti.ch/temieprogetti/educazione_sessuale_nella_scuola/Documents/raccomandazioni_operative_2016def.pdf