Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

297 fAM fAM mate» (1936 [67]). – Detti e proverbi: una cagnada e una famada, un morso e una famata: di chi quando ha i mezzi mangia e quando non li ha si arrangia come può (Verz.); – na tempestada l’è na sfamada, una grandinata è una famata: perché rovina le colture (Bironico); –Pasqua marzada, o mòrt o sfamada, Pasqua che cade in marzo, o morte o fame: è presagio di un cattivo raccolto e di miseria (Arogno). famantè (SottoP.), famantèr (SopraP.) v. Affamare, limitare cibo o foraggio. impiegato anche in forma participiale con il significato di ‘affamato, famelico’; – paragoni, proverbi: famantè cufa ün lüff, affamato come un lupo: affamatissimo (Castasegna), cur ca lan vacca l’énn famantèda, la spian al fréd o l’ègua, le vacche affamate annunciano freddo o pioggia (SottoP. [68]); in un indovinello: pǘ ca sa i an da, pǘ fam al vará, cur ch l’a tütt maiè, al mör famantè: al fögh, più gliene dai, più fame avrà, quando ha mangiato tutto, muore affamato: il fuoco (Bondo [69]). famedíscagg. Sempre affamato, mai sazio (Biasca [70]). famèe v. Affamare (Gerra Verz.). 11. Composti inżigafáms.m. Cibo che stuzzica l’appetito (Carasso). mazzafáms.m. e f. (Landarenca, S. Domenica) 1. Tipo di vivanda sostanziosa (Bell., Biasca, Malvaglia, VMa., Loc., Rovio, Moes., Bondo). – 2. foraggio scadente che si dà al bestiame in mancanza di meglio (circ. Airolo [71]); – fieno misto a paglia (Menzonio). – 3. Mucchio di cose messe alla rinfusa, groviglio (Malvaglia, Locarno, Lavertezzo, Sonogno, Gerra Gamb.); – disordine (Cavergno, Locarno, Sonogno); – rompicapo (Rossa). 1. indica per lo più un piatto a base di farina di mais e di patate cotte sminuzzate, talvolta anche di fagioli o fagiolini, rosolati nel burro o nella sugna; oltre che al maschile e femminile singolare, il termine è usato anche almaschile plurale: imazzafám a s’i mangia col formacc o int el café, ma i stópa prèst e l’è per chèll che i a gh ciamamazzafám, i mazzafámsi mangiano con il formaggio o nel caffelatte, ma saziano in fretta ed è per quello che li chiamano «ammazzafame» (Roveredo Grig. [72]); in val Calanca la vivanda era cucinata in un tegame largo e basso appeso alla catena del focolare e si consumava con il caffelatte, la purea di mele o il formaggio [73]; – a Cavigliano: mazzafám da zucch, ... da pérzi, polentina di farina di mais con il burro e fettine di zucca o di pesche, mazzafám d’arbétt, bietole lessate e condite. – il termine designa anche una minestra con vari tipi di verdure (Malvaglia), farina e fagioli (Arbedo-Castione [74]), riso, farina dimais, fagioli e verdura (Verscio), riso e farina (Locarno); sempre a Locarno era detta mazzafámlaminestradella sera consumata lamattina seguente per colazione dopo averla riscaldata con l’aggiunta di farina di mais [75]. – La voce indica talvolta anche un solo alimento, come i fagioli (Roveredo Grig.) o le patate (Montecarasso) arrostiti oppure, a Verscio, la polenta. A Grono è attestato, in forma documentaria, il toponimo «Mazafame», bosco di castagni (1780) [76]. 3. L’a bütáo tücós a mazzafám, ha buttato tutto in disordine (Cavergno). strozzafáms.m. Pietanza a base di farina di granoturco rosolata nel burro o nella sugna a cui si aggiungono i fagiolini o le patate: era cucinata in un tegame largo e basso appeso alla catena del focolare nel quale veniva rimestata costantemente (Camorino). Dal lat. făMe(M) ‘fame’ [77]; – per le numerose denominazioni scherzose e gergali con cui si indica la fame nella Svit. v. LSi-RiD 1.470-472 [78]. – L’espressione l’ann dala fam(par. 3.2., cfr. 4.3. [79]) si riferisce alla grande carestia degli anni 1816-1817, all’origine della quale vi furono i cambiamenti climatici generati dalla gigantesca eruzione nel 1815 del vulcano Tambora, situato sull’isola di Sumbawa in indonesia [80]; a essa alluderebbe anche il detto che inserisce la fame dell’Onsernone, colpito in modo particolarmente grave dalla carestia, fra le tre rarità del Canton Ticino (par. 6.9.) [81]. – Si ritiene che l’eufrasia delle Alpi sia detta fió dla famo dla miséria‘fiore della fame’ o ‘della miseria’ (par. 5.15.) perché cresce su terreni magri [82]; similmente, in Trentino, la draba primaverile e la saeppola canadese sarebbero denominate erba da la fam ‘erba della fame’ per la loro capacità di proliferare su terreni aridi e incolti [83]; secondo un’altra interpretazione l’eufrasia delle Alpi, nel Biellese, è invece chiamata èrba dla fampoiché in montagna la sua fioritura avviene, tardivamente, quando il pascolo è già stato sfruttato [84]. – La designazione della primula, della margherita e della margheritina come fiore della fame si spiegherà invece per l’uso commestibile delle foglie e, in parte, dei fiori e per il loro consumo in tempi di carestia (per cui v. al par. 3.2.) [85]. – Come integrazione al par. 6. si segnala il modo di dire contadinesco in uso nel Comasco la famm de Lugan l’è quella che fa mangià el pan registrato da francesco Cherubini nel suo dizionario con la glossa «appetito non vuol salsa» [86]. – nel par. 10., famaa‘affamato’ (insieme alle sue var. con s- intensiva) potrebbe essere interpretato come deriv. di famcon l’esito del suff. -ATu(M) che indica la presenza, come tratto tipico o distintivo, del referente del sostantivo di base [87], per cui cfr. l’it. ant. e lett.

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