Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

366 FATéZZI FATÓR ‘avarizia’ (Menzonio, Cauco [3]) e caprézzi ‘capriccio’ (Landarenca), repliche rispettivam. degli it. avariziae capriccio(v. avarizia, caprizi). B i b l.: [1] GIOVANNACCI, Rasa 159. [2] DEI 3.1605; cfr. REW 3132, SALVIONI-FARé, Postille 3132. [3] Da integrare con LSI 1.149. Petrini fatísc, -tögna fatt FATÓN (fat) s.m. Palma della mano (Mesocco). El fatón dela man, la palma della mano. Voce di origine incerta raccolta da P. Camastral e senza riscontri fuori della parlata locale. Un accostamento all’it. fettone‘parte dello zoccolo del cavallo che termina in un angolo acuto verso il mezzo della suola’, accr. di fetta[1] (v. fetón), è semanticamente problematico ed è contraddetto dalla presenza a Mesocco di un tipo lessicale diverso da féta1 ‘fetta’ nonché dall’estraneità alla fon. locale dell’abbassamento in protonia di e> ain prima sillaba iniziante con consonante [2]; la recenziorità stessa della coniazione del term. it., attestato dal xIxsec., costituisce poi unulterioremotivo inficiante, a fronte di un’attestazione che si presenta come l’ultima traccia di un rusticismo apparentemente già decaduto nell’uso, tanto da non figurare in un dizionario locale pubblicatonel 1986 [3], né risultare confermato da alcuna scrittura vernacolare. Meglio si lascerebbe collegare al germ. (burgundo) *FATT- ‘vestito’ [4], da cui i fr.-prov. e sv.rom. fata‘tasca’, un’accezione che si presta a descrivere il cavo della mano, concetto perspicuo in varie voci sin., v. bözz2, cav, cr, cròta, crözz2, inoltre pilözz, pozziöö, tazza1, zött [5]. Nello sv.rom., d’altra parte, fata d la dzanb ‘f. de la jambe’ designa il polpaccio [6], accezione che potrebbe richiamare il rigonfiamento del palmo alla base del pollice. Dal punto di vista della formazione della parola va qui rilevato che, sempre in area sv.rom., un *faton, non attestato, è presupposto al derivato in -ATAfatənó ‘contenuto di una tasca’ [7]. Per la presenza di gallicismi nella parlata locale cfr. depesciass. B i b l.: [1] DEI 3.1628, BATTAGLIA5.893, REW6041a, SALVIONI-FARé, Postille 6041a, REP 632. [2] CAMASTRAL, ID 23.160. [3] LAMPIETTI BARELLA. [4] GPSR 7.1.183185, FEW 3.435-436, 15.2.115,116. [5] LSI 3.901, 4.195, 5.453,863. [6] GPSR 7.1.185. [7] GPSR 7.1.186. Galfetti fatón fatt FATÓR (fatr) s.m. Fattore. V a r.: fatór, fatúr; fatóo(Carasso, Pura). 1. Generalmente, soprintendente, amministratore di una masseria: al mé tatt l’éra giǘ fatúr dal barún, il mio bisnonno era stato fattore del barone (SopraP. [1]), fatúr ladru, fattore ladro (Sementina), el fatór l’è comè n sciór, il fattore sta come un signore (Gerra Gamb.); – rappresentante, agente, sostituto di qualcuno: fatúr, uomo di fiducia che in assenza del padrone lo rappresenta e riceve le ordinazioni (Linescio), l’è ul sö fatór, è il suo rappresentante: agisce per conto suo (Rossura); – inserviente di un convento, di un monastero: fatór di frá/ di mónega, inserviente che svolge mansioni per conto dei frati/ delle monache e ne cura gli interessi fuori del monastero (Cimadera), par sti ròpp sa parlamiga cui mónaghma cur fatór di mónagh, per queste cose non si parla con le monache, ma con il fattore delle monache (Grancia); – a Soazza, garzone, servitore. 2. Paragoni, traslati 2.1. Ladru cumè un fatúr, ladro come un fattore (Viganello), grass cóme un fatór, grasso come un fattore (Magadino), paré ün fatór, sembrare un fattore: di persona grassa, florida (Cimadera); – rénd comè on fatór, rendere come un fattore: molto (Gandria). 2.2. Qua e là, persona grassa: l’è diventò un fatór, è diventato un ciccione (Rivera). 3. Locuzioni, modi di dire, sentenze, proverbi 3.1. Fuori della Svizzera italiana, cünt da fatúr, conti di fattore: fatti a vantaggio di qualcuno (Vogogna), stá a cul ch’ul disg al fatúr, stare a ciò che dice il fattore: non avere opinioni proprie (Vanzone). 3.2. Se l fatór l’è migna bón, l’ingrassa ul padrón, se il fattore è un incapace [= non è avido], arricchisce il padrone (Stabio), o dumá ingrassá ul padrón, o dumá ul fatór, o ingrassare soltanto il padrone o solo il fattore: non si possono conciliare interessi contrapposti (Stabio); nelle vicinanze della Svizzera italiana, a fá l fatúr l’è mai andacc inmiséria nigǘn, a fare il fattore nessuno èmai caduto in miseria (Villa di Chiavenna). 3.3. Fam fatór on agn e pöi, sa sarò pòuro, o sará mè dagn, fammi fattore per un anno e se poi sarò povero, sarà colpa mia (Menzonio), quand che vün al fa ul fatúr tri ann, sa l’è cuiún, l’è sò dagn, quando uno fa il fattore per tre anni, se è tanto stupido da non approfittarne, è a proprio danno (Balerna); – cént fatór cüran migna un paisán, cento fattori non curano un contadino (Stabio): non riescono a controllarlo in tutto ciò che fa [2].

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