235 fACC fACC sarto esperto nel suo lavoro (rovio); – magn che sta mía sül fatt s, mano che non resta sui suoi beni: che ruba (Brione s. Minusio). 6.3.2. Vèe bói paròll e tristi fatt, avere buone parole e tristi fatti: predicare bene e razzolare male (Menzonio); – lar da bóca e strinc da fècc, largo di bocca e stretto di fatti: generoso a parole, avaro di fatto (Cavigliano). – ALoco, de fècc e de dicc, nei fatti e nei detti, vero e proprio: i è cristièn de fècc e de dicc, sono cristiani nei fatti e nelle parole: vivono la propria fede coerentemente; – a Losone, al cognóss da nóm e da facc, lo conosco di nome e di fatto: per le sue malefatte. 6.3.3. Vegní ai facc, venire ai fatti: azzuffarsi (generalm.), dallanparòla i ènngní ai fa, dalle parole son venuti ai fatti: dalle minacce sono passati all’azione (Soglio). 6.3.4. AComologno, quéll lí u ’amíadimá i dicc ma u ’a ana i fècc, quella persona non ha solo i detti ma anche i fatti: agisce concretamente [27]. 6.3.5. Con valore eufemistico, fá al facc, fare il fatto, congiungersi sessualmente: el ga fa el facc, le fa il fatto: ha rapporti con lei (Camorino). 6.3.6. A Brione s. Minusio, stan sül fècc, restare su ciò che è [già] fatto: oziare. 6.3.7. A Comologno, végan un fècc, averne un fatto, confidare, fare affidamento: quéla gént inò a s pó mia végan un fècc perchè cui èi i bóia e cui ghètt i sgnava, su quelle persone non si può contare perché con i cani abbaiano e con i gattimiagolano: si comportano secondo le convenienze [28]. 7. Proverbi, sentenze 7.1. riferiti all’opposizione tra il dire e il fare A val piǘ i fècc che i dicc, valgono più i fatti che le parole (Crana); – dai dicc ai fècc a passa na gran diferénza, tra il dire e il fare c’è una grande differenza (Gordevio); – se la léngua la fass i facc, ga saréss piǘ nagótt da fá, se la lingua facesse i lavori, non ci sarebbe più nulla da fare: se dire equivalesse a fare (Castel S. Pietro), se la lingua la fass i facc e l cüü ul furmacc, saréssum tütt sciuri, se la lingua facesse i lavori e il culo il formaggio, saremmo tutti ricchi (Mendr.); se i dicc i fass i facc, tücc i vacch i faréss lacc, se le parole facessero i fatti, tutte le vacche produrrebbero latte: riferito amillantatore (Gerra Gamb.). – I facc i è mas’c e i paròll i è fémen, i fatti sono maschi e le parole sono femmine: le donne chiacchierano, mentre gli uomini agiscono (Camignolo). – Cfr. dí2, par. 8.6.2., dicc, par. 5., fá1, par. 10.4. 7.2. Chi parla miga un ait, da sòlit fa si fait, chi non parla del tutto, di solito si fa i fatti propri (Poschiavo [29]); – quéll ch’u bada ai fai s u ne s’intriga mía in di fai di ièlc, chi bada ai fatti propri non s’impiccia in quelli degli altri (ronco s. Ascona); – a cercá ul fatt sò sa fa tòrt a nissǘn, a chiedere il fatto proprio [= ciò che spetta] non si fa torto a nessuno (Lugano [30]). 7.3. La matina l’è la mam di facc, la mattina è la madre dei lavori: è il periodo più proficuo della giornata (Gravesano [31]). 7.4. Qui ch’i fa vía r facc s prima ch’i möra i è dégn da mazzá con na mazzöra, coloro che scialacquano il proprio patrimonio prima di morire sono degni di essere ammazzati con una mazzuo - la (Sonvico). 8. Esclamazioni, commenti 8.1. Che bèla ròba sa li paròli li féssan i fait!, che bella cosa se le parole realizzassero le azioni! (Poschiavo [32]), cfr. al par. 7.1.; – a m’en desprégh di tò facc, ma miga di tò dicc, me ne frego delle tue azioni, ma non delle tue parole (S. Vittore [33]). 8.2. Ünbun facc!, un buon fatto!: commento che esprime sollievo (SopraP. [34]). Dal lat. fACtu(M) ‘fatto, azione’, a sua volta sostantivazione del part. pass. del verbo făCErE‘fare’ [35]. – rispetto all’agg. facc1 che, in quanto riflesso del part. pass., ha subito influenze analogiche da altri verbi, nonché dalle forme della koinè (per cui v. la discussione etim. di fá1), la voce in esame presenta esiti regolari: v. ad es., nel Mendr., il s.m. faccdi contro al part. pass. fai o faa[36]. Inoltre, l’uso frequente del term. al pl., soprattutto per indicare le faccende domestiche (par. 1.) e gli affari privati (par. 3., 6.3.1.), ha consentito in diverse località di serbare traccia di fenomeni di metafonia: Keller registra ad es. nel Gambarogno la coppia facc/ fècc ‘(il) fatto/ (i) fatti’ come «wichtige reliktform» [37]. La var. fate di Cimadera fa pensare alla tipica -e di appoggio che nei dial. valcoll. segue un nesso consonantico. Altre forme particolari, conservatesi essenzialmente in locuz. e dovute probabilm. alla cons. che segue, si riscontrano ad es. a Sonogno, dove è documentata l’oscillazione tra facc (es. l’é un béll facc ‘è un bel lavoro, una bella cosa’) e fa, in locuz. quali le gh’a del fa s‘ha beni propri’ [38]; sempre in Verz. è attestata la forma facch, conservatasi anch’essa unicamente nel sintagma facch s‘fatto suo’, che secondo Salvioni presuppone la trafila fACtu-S > *fakjo-s > *fakji-s > *faki-s [39]. Sembrerebbe alludere a una dissimilazione di -č- davanti a t la forma al pl. i fèsc töi, rilevata da Salvioni a Cavergno [40]. – Il passaggio semantico a ‘oggetto, aggeggio’ di Cavergno (par. 5.2.) trova dei paralleli ad es. in lavór‘lavoro; cosa, aggeggio’ e manég‘maneggio, armeggio; oggetto, arnese’. Per il valore di ‘sterco della selvaggina’ a Brione Verz. (par. 5.3.) cfr. il s.f. it. fatta ‘id.’ [41]. – Nel LSI figura il modo di dire fá trii facc e düü servizzi ‘fare tre lavori e due servizi’ (Brusino Arsizio) [42], che sembra essere una creazione idiosin-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTA1MTg=