Luca Besomi
Otto anni nei grandi alberghi asiatici, poi la svolta a Tesserete
Professione
direttore d'albergo
Anno di nascita
1979
Comune d'origine
Tesserete
Attuale residenza
Tesserete
Ha soggiornato fuori Cantone dal
1998 al 2012
Dove
Svizzera francese (Losanna), Olanda (Amsterdam), Thailandia, Vietnam e Cina
Dall’Asia e il ruolo di direttore della ristorazione di lussuosi hotel alla gestione di un albergo da 15 stanze nel Comune di Tesserete. È stata questa la svolta nella vita di Luca Besomi, nato nel 1979 e cresciuto in Capriasca. Dalle… cinque stelle alle stalle? Tutt’altro. «Per prendere quella decisione ho impiegato una settimana. Per abituarmi al nuovo clima di lavoro e all’ambiente ticinese, quasi sei mesi. Ma sono soddisfatto. Qui ho ritrovato uno stile di vita più rilassato e a misura d’uomo».
Luca, come sei arrivato ad assumere funzioni dirigenziali in Oriente?
«Ho sempre avuto il pallino per l’economia, ma dopo essermi diplomato alla Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona ho preferito seguire le orme dei miei genitori – proprietari del Ristorante Stazione a Tesserete – e iscrivermi alla scuola alberghiera di Losanna. Ho svolto due stage professionali ad Amsterdam e a Bangkok, poi ho ricevuto un’offerta di lavoro da una multinazionale a Ginevra. Non avevo però voglia di tornare subito in Svizzera, e così ho iniziato a collaborare con una catena alberghiera a Bangkok, anche se sono rimasto solo un anno nella capitale».
Come mai?
«Dopo qualche mese si è profilata la possibilità di diventare capo della ristorazione di un hotel nel nord del Paese. Significava dirigere 60 persone, e questo a soli 26 anni. Non ci ho pensato due volte, e sono rimasto lì per 18 mesi».
Poi cos’è successo?
«Sono tornato nella metropoli e ho diretto i lavori di ristrutturazione di otto nuovi ristoranti e sale banchetti in due alberghi, ma poi la crisi politica del 2009-10 ha complicato le cose. Allora mi sono trasferito in Vietnam e dopo qualche tempo sono andato a Sanya (Cina), in provincia di Hainan. La regione è composta da diverse isole che le hanno valso il soprannome di Hawaii del Paese, la concentrazione di hotel di lusso è molto alta e da ottobre a marzo si è sempre in altissima stagione. Lo sviluppo di quell’area rispecchia la grande espansione in Asia della catena alberghiera per cui lavoravo, con la nascita di oltre 180 alberghi dal 2012 al 2015».
Sei rimasto lì a lungo?
«Alcuni mesi, poi mi sono trasferito a Shanghai. Ho trascorso lì mezzo anno e nel mese di febbraio o marzo 2012 mio padre Guido mi ha telefonato».
E che ti ha detto?
«Mi ha chiesto se e quando avevo intenzione di tornare. In Capriasca si era infatti presentata la possibilità di rilevare l’hotel Tesserete – distante pochi metri dal ristorante di proprietà della mia famiglia dal 1930 – e voleva chiedermi se ero pronto ad assumerne la gestione. Gli ho chiesto una settimana per pensarci bene».
Quali aspetti hai preso in considerazione?
«Per me è stata l’occasione di passare in rassegna quanto successo negli otto anni precedenti. L’Asia mi ha sempre affascinato perché ha una cultura del tutto diversa dalla nostra, mi aveva costretto a mettermi in gioco, a svuotare il cervello e ad adattarmi a uno stile di vita del tutto nuovo. In quel periodo avevo imparato molto: parlo correntemente il thailandese e ho appreso anche qualche nozione base di cinese, nonostante nessuno mi avesse obbligato – era semplicemente la via più comoda per comunicare coi collaboratori. Stavo avendo una vita agiata, con grandi responsabilità sul posto di lavoro davanti a una media di oltre 200 dipendenti e una spiccata riconoscibilità a livello locale: ero spesso invitato agli eventi mondani organizzati dalle ambasciate e dagli altri alberghi, non capitava mai che la sera rimanessi in camera. Ma in linea di conto ho messo anche gli aspetti negativi».
Per esempio?
«Fino ad allora avevo lavorato in media 90 ore la settimana e i ritmi non sarebbero certo calati in futuro; notavo inoltre una certa superficialità nella maggior parte dei rapporti che stringevo là, molta facciata e poca sostanza. E poi mi sono chiesto: vorrei crescere un figlio in un hotel a cinque stelle per farlo stare vicino al suo papà? Sarei in grado di costruirmi e seguire una famiglia in un ambiente del genere? Più di una persona mi aveva anche rivelato che nel settore c’è sempre il rischio di arrivare a un punto in cui non si vuole più tornare, si è come assuefatti da quel mondo. Così, probabilmente spinto anche dalla voglia di proseguire l’attività dei miei genitori, ho richiamato mio padre e ho accettato, ma gli ho detto che sarei tornato da lì a due mesi, anche se il periodo di disdetta era di soli trenta giorni».
E cosa hai fatto negli altri trenta?
«Ho riposato! Sono stato al matrimonio di un amico in Giappone, nelle Filippine per imparare ad andare in kitesurf e a Bangkok per gli ultimi saluti. Quindi sono tornato in Ticino, pronto ad assumere la gestione dell’albergo e ad avviare una collaborazione con il ristorante gestito da mio padre e mio fratello Oliver».
Com’è andata?
«Sono onesto, i primi mesi sono stati molto duri. E da più punti di vista. Innanzitutto, quello professionale: in un certo senso sia i miei parenti, sia i nostri dipendenti (che nella maggior parte dei casi collaborano con l’attività di famiglia da oltre 25 anni) mi vedevano come il ragazzo che aveva lasciato il paese a 19 anni per andare a studiare all’università. Nessuno di loro aveva visto cosa ero riuscito a realizzare a migliaia di chilometri da lì, mi sentivo quasi sottostimato. Ho quindi dovuto rimettermi in discussione, rivedere il mio metodo di lavoro e adattarmi a quel nuovo ambiente, cercando di avvicinare l’attività a un modello di impresa che non ragiona anno per anno, ma sa anche guardare oltre. Insomma, combinare la solidità data dalla famiglia con una serie di investimenti che pagheranno sul medio-lungo termine».
Ci sono state altre difficoltà?
«Un altro grande cambiamento ha riguardato la vita sociale. Quando sei abituato a pranzare e cenare fuori tutti i giorni, è difficile adattarsi ai ritmi ticinesi secondo i quali, durante l’inverno, sempre meno persone escono preferendo rilassarsi a casa. Anche qui, tuttavia, mi sono adattato riconoscendo i vantaggi: qui a Tesserete ho ritrovato gli amici di un tempo, un gruppo molto unito fatto anche di artigiani locali che mi ha aiutato nella ristrutturazione dell’albergo. Insieme a loro ho creato una saletta/fumoir privata con una buona selezione di sigari; dietro una teca di vetro conserviamo le nostre bottiglie favorite, ognuna delle quali è avvolta da una catenella con il nome del proprio… proprietario inciso sulla targhetta. Un modo come un altro per ritrovarsi periodicamente e celebrare la nostra amicizia».
Riguardandoti indietro, cosa ti hanno dato quegli otto anni in Asia?
«Di sicuro tanta sicurezza in me stesso e l’esperienza data da molteplici situazioni in più Paesi, ognuno dei quali contraddistinto da una propria cultura. Ho sviluppato l’abitudine a stringere relazioni con persone di tutti i tipi e la capacità di affrontare diverse situazioni, anche in momenti di stress».
Pensi mai di tornare, o di ripartire per l’estero?
«Durante i primi mesi in Ticino sì, ho considerato la possibilità di tornare indietro o perlomeno di farlo per un breve periodo durante l’inverno, quando l’albergo chiude i battenti. Poi però mi sono detto: ha senso investire tempo ed energia per un altro gruppo, quando potresti dedicarti alla tua attività – seppur piccola? Quindi no, non penso che tornerò all’estero e sono convinto di aver fatto la scelta giusta al momento giusto. Oggi vivo in maniera più rilassata, lo stress lavorativo c’è ma non è certo paragonabile a quello di un tempo in cui a malapena avevo un giorno libero la settimana e tre settimane di vacanza l’anno. Attorno a me sento qualche volta la pressione di raggiungere dei buoni risultati finanziari, come è normale per chi ha un’attività in proprio, ma anche tanta armonia. E oggi, per me, è questa la cosa che conta di più».
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