Simona Elena Crivelli
Cinque anni tra Germania e Danimarca. Poi, il Ticino
Professione
giornalista RSI
Anno di nascita
1984
Comune d'origine
Lugano
Attuale residenza
Lugano
Ha soggiornato fuori Cantone dal
2003 al 2013
Dove
Svizzera francese (Friburgo), Germania (Berlino) e Danimarca (Copenaghen)
“Non mi piacciono le scelte definitive, non sono per il bianco o per il nero. Credo nelle sfumature”. Così Simona Elena Crivelli (classe 1984), che dopo essersi laureata a Friburgo in storia, giornalismo e comunicazione, nell’estate 2009 ha lasciato la Svizzera e si è trasferita a Berlino per affinare il proprio tedesco; un soggiorno all’estero che sarebbe dovuto durare sei mesi, e invece… “La mia ambizione era quella di lavorare in ambito culturale o, comunque, in un settore legato alla comunicazione in Germania o in Svizzera tedesca. Sapevo che nell’area germanofona avrei avuto maggiori possibilità rispetto al Ticino, ed è anche per questo che ho scelto un percorso accademico bilingue, uno degli atout dell’Università di Friburgo”.
E dopo gli studi nella capitale tedesca, cosa è successo?
“Nel marzo 2010 mi sono spostata a Copenaghen per studiare l’inglese e l’estate successiva ho inviato le prime candidature professionali. Oltre alla Svizzera interna, la mia ricerca si è concentrata anche sulla Danimarca”.
Come mai non in Ticino?
“Perché sentivo ancora forte in me l’esigenza di allontanarmi da una realtà che conoscevo fin troppo bene e in cui potevo parlare solo italiano”.
E così arriviamo al primo febbraio 2011: il tuo primo giorno di lavoro a Copenaghen…
“Esatto, sono stata assunta in un’azienda danese specializzata in design di alto livello per collaborare nei dipartimenti di vendita e di gestione amministrativa di diversi mercati, tra cui quello italiano, francese, spagnolo e sudamericano. Una mansione lontana dal mio curriculum accademico, ma che mi ha permesso di vivere una prima e vera esperienza professionale all’estero. Il mio progetto, inoltre, era quello di potermi occupare in seguito di marketing e comunicazione”.
Come hai vissuto quel periodo?
“Inizialmente molto bene. Ero felice di lavorare in un Paese diverso da quello in cui ero cresciuta, ma poi si è instaurata una certa routine e l’entusiasmo si è affievolito”.
Cosa è successo?
“Devo dire innanzitutto che una cosa è studiare all’estero, un’altra è lavorarci. Non si vive più in una bolla fatta di lezioni, spensieratezza e gente di passaggio, ma si prende veramente contatto con la popolazione indigena. È una vita normale, quindi più reale e autentica di quella veicolata dalle scuole rivolte agli stranieri. Anche la lingua inglese, da obiettivo, si è trasformata in limite: senza la conoscenza del danese è difficile instaurare un rapporto paritario coi colleghi, e più passa il tempo e più le occasioni di conoscere nuova gente diminuiscono. Ci sono stati anche dei momenti di solitudine, perché è vero che oggi abbiamo Skype e le reti sociali, ma non è mai come incontrarsi a tu per tu con i propri familiari o gli amici d’infanzia. Tutti questi fattori mi hanno permesso di vedere la Danimarca da un nuovo punto di vista e di adottare una nuova visione della Svizzera”.
In che senso?
“Sia per dimensioni, sia per numero di abitanti i due Paesi si assomigliano. La qualità di vita è buona anche in Scandinavia, ma ciò che ho più rivalutato durante il mio periodo all’estero è la grande diversità culturale e linguistica di cui gode la Svizzera, che si traduce in una maggiore capacità di integrazione dell’altro”.
E così sei tornata…
“Esatto, per la precisione nell’estate 2013. Ma il mio ritorno è frutto di una serie di fattori, tra cui la mancanza di sbocchi professionali a Copenaghen e l’opportunità di un lavoro molto stimolante a Lugano. Penso fosse solo questione di tempo, perché non mi vedevo a trascorrere l’intera vita all’estero: avrei perso troppe cose legate alla mia sfera d’affetti, sarebbe stato come rimanere indietro”.
È cambiata anche la tua visione del Ticino?
“Certo, ma ciò è dovuto anche all’evoluzione vissuta dal nostro Cantone negli ultimi anni. Le attività culturali, gli eventi gratuiti, i trasporti pubblici più funzionali: ho notato molte differenze rispetto a quando sono partita per Friburgo, nel 2003. E poi vi sono altri fattori che ora apprezzo di più rispetto al passato, e non parlo solo del clima ben più temperato di quello danese: è la posizione del Ticino al centro dell’Europa a essere strategica. Qui abbiamo il lago e la montagna, ma in meno di un’ora possiamo essere a Milano e in meno di tre a Zurigo o al mare. A Copenaghen, al di là della vicina Svezia, bisognava muoversi in aereo se si voleva ammirare un panorama diverso”.
Cinque anni di studio in Svizzera francese e altrettantii trascorsi all’estero: come ti hanno cambiata?
“Nel bene e nel male ho saputo difendere la mia scelta di allontanarmi dal Ticino con coraggio, e di ciò vado molto fiera. Inoltre sono diventata più flessibile e aperta verso l’altro, quindi più pronta ad adattarmi. Infine, vivo con più trasporto cose (all’apparenza) piccole, come la possibilità di prendere un caffè con un’amica. So quanto mi sono mancate e oggi le apprezzo maggiormente”.
Ci sono rimpianti?
“No, anche perché se non avessi vissuto un’esperienza del genere me lo sarei rinfacciata per il resto della vita. Mi sono tolta il dubbio e ora so che la Svizzera è il posto giusto per me, dove posso sentirmi realizzata sia come professionista, sia come persona in maniera equilibrata. Non riuscirei a sacrificare una dimensione a beneficio dell’altra, non mi piace essere bianca o nera: sono per le sfumature”.
Consiglieresti la tua esperienza a un altro (ex) studente, fresco di laurea?
“Sì, e penso che il periodo immediatamente successivo all’università sia il migliore per partire visto che dal punto di vista professionale si è ancora abbastanza liberi. In particolare, consiglio di imparare la lingua il più presto possibile per levarsi l’etichetta di ‘expat’, di vincere la pigrizia conoscendo sempre persone nuove e di mantenere le amicizie di lunga data, senza voltare le spalle al proprio passato”.