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Discorso del 1. agosto 2009

17.08.2009

Alto Malcantone, Fescoggia

La nostra Festa nazionale vuole commemorare il Patto del 1° agosto 1291, una delle poche date della nostra storia che ogni cittadino svizzero conosce. Ricordiamo così un evento che ha una valenza più mitica e simbolica che storica. Ogni società, ogni paese ha, certo, bisogno di simboli che contribuiscono a rafforzare la propria identità. Il mito non deve tuttavia farci dimenticare o, peggio, alterare la realtà storica. È la Costituzione federale del 12 settembre 1848, la prima scelta dal popolo, l'atto che ha veramente fondato il nostro Paese, che ha conferito un'identità svizzera ai cittadini dei Cantoni, l'atto, insomma, che ha dato vita  allo straordinario modello elvetico che ci ha assicurato prosperità e pace da oltre un secolo e mezzo. Vi è, invero, sempre una certa reticenza a rievocare il 1848 perché ricorda il Sonderbund e lo scontro tra liberali e conservatori. Dobbiamo superare questi aspetti emotivi, abbandonare sia i toni trionfalistici degli uni, sia i sentimenti di rivalsa degli altri, anche perché penso che i liberali e i conservatori di allora, non corrispondano necessariamente a quelli di oggi; dobbiamo invece considerare le scelte istituzionali innovative e coraggiose che hanno creato la Svizzera moderna, trasformando una lega di Cantoni uniti da rapporti contrattuali in uno stato federale con delle istituzioni democratiche. L'abolizione delle numerose barriere interne favorì lo sviluppo economico del paese. Nei Cantoni di quel tempo esistevano 400 tasse sul trasporto delle merci, sull'asse ticinese del Gottardo vi erano blocchi con prelievi di ben 13 balzelli che ostacolavano gravemente il commercio La Costituzione del 1848 introduce per la prima volta anche strumenti di democrazia diretta e riconosce importanti diritti ai cittadini, stabilendo, in particolare, la libertà di stampa, la libertà di credenza e la libera scelta del luogo di residenza. La Svizzera è così anche figlia dei valori della Rivoluzione francese e della costituzione americana. Con gli occhi di oggi, le conquiste del 1848 possono sembrare ovvie. Situate nel contesto storico di quel tempo, furono invece il frutto di una straordinaria visione politica e di un grande coraggio, una scelta di progresso e di libertà repubblicane nel bel mezzo di un'Europa monarchica e autoritaria. Una Svizzera, quella di allora, sicura di sé, audace e progressista.

Il modello elvetico, come detto, ci ha assicurato un lunghissimo periodo di benessere e di pace, permettendoci di passare indenni, o quasi, tra le grandi tragedie che hanno devastato a più riprese il nostro continente. Mai abbiamo goduto di tanta prosperità come in questi anni: la durata della vita si è allungata, il nostro sistema sanitario è certo costoso ma pur sempre uno dei migliori del mondo, la ricerca scientifica e la capacità innovativa sono tra le più avanzate, la rete di protezione sociale un miraggio per molti paesi. Dobbiamo essere pertanto riconoscenti alle generazioni che ci hanno preceduto e che hanno contribuito al conseguimento di tali successi. Benessere e pace non sono tuttavia beni che ci sono dati una volta per sempre. Sono valori che vanno difesi, riconquistati giorno dopo giorno, con impegno e con coraggio. La Svizzera non è un'isola, non lo è mai stata. La sua storia è sempre stata condizionata, o quantomeno influenzata dal mondo che ci circonda, sempre è stata arricchita dall'apporto esterno, così come molti nostri concittadini si sono impegnati all'estero per il bene comune. Abbiamo accennato alla costituzione del 1848: come non ricordare che suoi principi fondamentali furono anticipati già nel 1815 in un progetto di Patto federale elaborato sotto la direzione di Pellegrino Rossi, un esule italiano rifugiatosi in Svizzera, un asilante diremmo oggi? Il nostro Paese è sempre stato rivolto verso il mondo che lo circonda, geograficamente al centro dell'Europa, senza confini naturali, culturalmente variegato con lingue diverse, economicamente aperto con un commercio, un'industria e una piazza finanziaria fondati essenzialmente sui rapporti con l'estero.

Il mondo di cui siamo parte e con il quale siamo necessariamente sempre più connessi cambia e sta cambiando sempre più rapidamente. Dopo l'orribile tragedia della Seconda guerra mondiale, l'Europa ha capito che solo un'integrazione progressiva poteva assicurare pace e progresso. Dai primi passi della Comunità europea per il carbone e l'acciaio si è giunti all'Unione Europea con un parlamento eletto che rappresenta 500 milioni di europei di 27 paesi, un processo evolutivo verso una confederazione europea che non può non ricordare il percorso seguito dalla Svizzera. Il duro confronto tra l'economia liberale di mercato e il comunismo si è concluso con la chiara sconfitta di quest'ultimo. La fine della Guerra fredda ha sconvolto gli equilibri in Europa, accelerandone l'integrazione. Nel clima di tensione tra i due blocchi che ha fatto seguito all'ultimo conflitto mondiale, la Svizzera neutrale aveva trovato una sua posizione, un suo ruolo e anche una sua autorevolezza. La caduta del Muro di Berlino e lo sfacelo dell'Unione Sovietica sembrano aver provocato un forte disorientamento nel nostro Paese, quasi fossero andati persi punti fissi di riferimento. L'Europa è ormai in pace, sempre più prospera, sempre più unita. La nostra economia ha capito, prima ancora della politica, la necessità di intessere rapporti particolari con questa nuova Europa per non correre il rischio di essere tagliati fuori dal nostro principale mercato. Il NO allo Spazio Economico Europeo del 1992 ha avuto conseguenze negative per il nostro Paese, anche se, paradossalmente, gli oppositori sono stati premiati dalle urne. Ci sono voluti oltre dieci anni di difficili negoziati per ottenere il libero accesso al mercato europeo e la libera circolazione delle persone, fattori decisivi per la crescita del nostro Paese e per il benessere dei suoi abitanti, vantaggi di cui avremmo potuto approfittare già durante i difficili anni Novanta. L'unità europea va considerata inoltre in un contesto geo-politico in rapida evoluzione con la formazione di nuovi equilibri mondiali: pensiamo solo al poderoso sviluppo della Cina e del'India e al loro crescente peso economico e politico. L'Europa unita è oggi una necessità strategica per assicurare benessere e sicurezza ai suoi abitanti e per salvaguardare il suo straordinario patrimonio storico e culturale. La politica svizzera deve confrontarsi con la questione europea e deve dire ad alta voce quello che ormai moltissimi pensano nel loro intimo: la via bilaterale è stata una soluzione utile in un momento storico particolare, ma è ormai giunta al capolinea. Mai i nostri rapporti economici, politici, amministrativi e di sicurezza sono stati tanto intensi con l'Europa. Sempre più siamo costretti ad adottare le norme europee nei campi più disparati. Lo facciamo perché è nel nostro interesse, perché viviamo nel bel mezzo del continente e con questo concludiamo la maggior parte dei nostri affari. Esterni all'UE non abbiamo alcun influsso su questi ordinamenti europei: prendere o lasciare, mentre il Lussemburgo, l'Austria o la Finlandia possono partecipare all'elaborazione degli stessi oppure opporsi alla loro entrata in vigore, senza per questo perdere la loro identità e le loro peculiarità. Mi rendo conto che parlare di questi temi - per di più in Ticino! - non è facile e può essere considerato politicamente poco abile, per non dire autolesionista e scriteriato. Penso che la politica non debba consistere a dire quanto la gente si aspetta di sentire; dire quel che si pensa è una forma di rispetto nei confronti dell'elettore. Il politico ha il dovere anche di cercare un dialogo dialettico con gli elettori, di esporre le sue idee, le sue conoscenze ed esperienze.

La crisi finanziaria ed economica, diffusasi nel mondo come un gigantesco gioco di domino, ha dimostrato in modo clamoroso a qual punto i confini nazionali tradizionali siano effimeri. Le vicende dei beni ebraici, della Swissair e dell'UBS sono un'illustrazione eloquente di come il nostro Paese possa essere vulnerabile e per nulla al riparo di quanto capita e si decide altrove. L'attacco al segreto bancario non era per nulla imprevedibile come si vuol far credere. Introdotto negli anni Trenta, quando eravamo circondati da Stati autoritari, il segreto bancario oggi non è più difendibile, se serve ai più facoltosi per violare i loro doveri di cittadini di paesi democratici e per danneggiare così i propri concittadini onesti. La piazza finanziaria svizzera ha ben altre carte da giocare: la stabilità del paese e delle sue istituzioni, la forza della sua moneta, l'alta competenza del personale bancario, questi sono i suoi veri punti di forza che dobbiamo far valere. Il prestigio della nostra piazza finanziaria è stato leso non dai suoi avversari tradizionali, ma da alcuni suoi stessi protagonisti che hanno agito in modo scriteriato, in spregio a tutte le norme etiche e deontologiche, mossi da un'incommensurabile avidità e dimostrando di non avere alcun senso di responsabilità sociale.

Il modello svizzero non è per nulla superato. Va adeguato alle mutate condizioni e alle nuove sfide. Si tratta di ritrovare soprattutto quello spirito innovativo, progressista e coraggioso che animò il popolo svizzero, quel 12 settembre 1848. La politica non può consistere a proporre riduzioni d'imposta a destra e a manca. Una fiscalità moderata è indubbiamente un importante fattore per un'economia competitiva. Indebolire lo stato non è vantaggioso per nessuno, se non per una piccola minoranza di privilegiati. Proprio quanto capitato nel mondo della finanza e i danni colossali provocati dimostrano che lo stato deve essere sufficientemente forte per imporre e far rispettare regole di comportamento atte a tutelare il cittadino.

Ma le più grandi sfide sono di natura ambientale e sociale. Finora solo una piccola minoranza di privilegiati ha potuto vivere come noi nell'abbondanza e nello sperpero di risorse naturali ed energetiche. Centinaia di milioni di persone vogliono e stanno uscendo dalla povertà per prender parte anche loro alla prosperità. Un'aspirazione non solo legittima ma che deve essere sostenuta nel nome della dignità umana. Ciò significa, tuttavia, che non possiamo continuare a vivere e consumare come lo abbiamo fatto fino a oggi. La corresponsabilità umana nel riscaldamento climatico non è più messa in dubbio. In certi paesi africani le conseguenze di questo riscaldamento cominciano ad avere effetti devastanti e sono da temere flussi migratori di dimensioni impressionanti di popolazioni che, con il loro modo di vivere, non hanno alcuna responsabilità per quanto sta capitando. Ci aspetta un impegno colossale, ma anche notevoli opportunità per la nostra ricerca, i nostri politecnici e per la nostra economia. La Svizzera ha la possibilità di assumere in quest'ambito un ruolo di punta; dobbiamo avere la volontà e l'ambizione di volerlo fare. Anche sfida sociale, dicevo: una delle chiavi del successo svizzero è stata la solidarietà nei confronti dei più deboli con la creazione di reti sociali efficaci. I costi della salute e il finanziamento delle assicurazioni sociali sono i problemi che devono essere risolti con urgenza, altrimenti rischiamo di rompere irrimediabilmente i delicati equilibri che fanno la forza della società elvetica. L'individualismo e l'egoismo sempre più accentuato proprio di chi oggi è già privilegiato ci induce a pensare che questo rischio non sia per nulla teorico.

Viviamo in una regione di grande bellezza in un piccolo comune. I problemi cui ho accennato sembrano tutti avere una dimensione che supera di molto le nostre capacità e le nostre competenze. La forza di un paese e di un popolo è in realtà la risultante della partecipazione e dell'impegno di tutte le sue componenti. Ognuno di noi svolge, nel proprio ambito, un ruolo importante e indispensabile. L'indifferenza costituisce un pericolo mortale per qualsiasi società. Un intellettuale francese ha coniato tempo fa un'espressione che ben si addice alla situazione odierna: pensare globale e agire locale.

Nelle scorse settimane, la Commissione europea ha attribuito il marchio di "Patrimonio Europeo" al Vecchio Ospizio del Passo del San Gottardo e ad altri due monumenti svizzeri. Il marchio vuole valorizzare siti storici che hanno contribuito a plasmare la cultura europea fondata su scambi tra Paesi e culture differenti, incontri, trasmissione di valori, d'idee, correnti artistiche e opere d'arte. L'avvenimento - che purtroppo sembra aver suscitato scarsa attenzione nel nostro Cantone - è assai straordinario. L'UE non ha esitato a conferire questo prestigioso marchio anche a siti svizzeri, nonostante la nostra non appartenenza all'Unione. La scelta del fatiscente Ospizio del San Gottardo, di cui è in corso proprio ora il restauro, è altamente significativa. Dal XIII. secolo l'Ospizio è stato luogo di passaggio, di accoglienza di viandanti, di contatti umani tra popoli diversi e di incontro di numerosi e illustri personaggi della cultura e della politica europea durante i secoli trascorsi. Per me il San Gottardo è il vero simbolo della Svizzera, prima ancora del praticello del Grütli. La forza simbolica dei suoi quatto fiumi che vanno irrigare l'Europa verso i quattro punti cardinali, la sua funzione secolare di passaggio e di apertura su culture diverse, le sfide sempre rinnovate per il suo superamento - dal ponte del Diavolo, alle gallerie stradali e ferroviarie più lunghe del mondo - caratterizzano bene la Svizzera multiculturale e il popolo svizzero fiero della sua storia e determinato a scrivere nuove ed esaltanti pagine di successo.

Autori

Dick Marty

Dick Marty