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Lingue minoritarie nell'Amministrazione federale: esiste ancora la Svizzera?

10.12.2009

Commento pubblicato dal Corriere del Ticino, 7.12.2009

Ebbene sì, grazie al nuovo consigliere federale Burkhalter, il Consiglio federale non ha fatto l'errore di mettere in vigore la legge federale sulla lingue e sulla comprensione tra le comunità (LFLing) con solo una delle due ordinanze di applicazione, come era previsto dai funzionari. Molto probabilmente la sua sensibilità verso la situazione delle lingue minoritarie nell'amministrazione federale, ma anche l'articolo molto critico dell'Hebdo («Administration fédérale interdite aux Romands») sulla scarsa presenza dei romandi ai posti chiave dell'Amministrazione federale, le conclusioni lapidarie del programma n. 56 dell'FNR che affermano tra le altre cose che «l'italiano NON esiste» ed infine le pressioni dei deputati latini gli hanno suggerito un po' di prudenza in questo campo molto sensibile per la coesione nazionale.

Chi vi scrive (e la Deputazione ticinese) si rallegra di questo primo passo dettato dal buon senso (si è mai visto mettere in vigore una legge a metà?) e spera che il Consiglio federale tenga conto della volontà politica espressa dal legislatore durante i dibattiti sulla nuova LFLing. In effetti in autunno siamo venuti a sapere che, mentre l'ordinanza che serve all'applicazione degli articoli concernenti la promozione della comprensione e degli scambi tra le comunità linguistiche e culturali, frutto del dialogo e della cooperazione tra i Cantoni e la Confederazione, era ormai cosa fatta, quella che regola la promozione e l'attuazione del plurilinguismo nell'amministrazione federale non era per nulla pronta, anzi era bloccata a più livelli ed in particolare dal Dipartimento delle finanze.

Le varie istanze consultate sia all'interno dell'Amministrazione (uffici) sia al di fuori (la Deputazione ticinese) hanno fortemente protestato a più livelli, poiché hanno subito intravisto il pericolo di una tale manovra: si applica quello che già più o meno funziona (scambi di allievi per il tramite della Fondazione CH) e che ha già una copertura finanziaria (in gran parte assicurata dai Cantoni) e si rimanda alle calende greche (fine 2010) l'applicazione della sezione più innovativa, quella riguardante la promozione dell'uso delle lingue nazionali nell'amministrazione; quest'ultima cambia radicalmente le cose poiché prevede che ognuno possa scrivere nella propria lingua madre con la conseguenza che i messaggi ed i rapporti non saranno più pensati esclusivamente in tedesco per poi essere tradotti, bensì pure nella lingua di Racine e di Dante. È chiaro che ciò richiede tutta una serie di misure organizzative e di formazione e naturalmente dei finanziamenti supplementari. Rimandando l'applicazione di questa parte della legge è più facile che essa finisca sotto la macina dei programmi di risparmio, già annunciati proprio per la fine dell'anno prossimo.


La storia della LFLing è proprio particolare: avversata dall'esecutivo, essa è stata fortemente voluta dai due rami del Parlamento, nella consapevolezza che oggi più che mai bisogna darsi da fare per tradurre in pratica l'art. 70 della Costituzione federale. In effetti quello che era ovvio fino a poco tempo fa ­ siamo Svizzeri e come tali parliamo le nostre lingue nazionali ­ non lo è ormai più: spesso e volentieri si incontrano persone molto qualificate che non capiscono una parola di francese e/o di tedesco, l'italiano inoltre sta perdendo sempre più terreno in Svizzera e il romancio è minacciato gravemente.


Innumerevoli sono stati gli atti parlamentari inoltrati negli ultimi 10 anni, per mezzo dei quali si è attirata l'attenzione sul fatto che il Consiglio federale non si interessava abbastanza della presenza dei latini ­ in particolare degli italofoni ­ nell'amministrazione federale; la catena delle discriminazioni cominciava già dalla messa a concorso di un posto; invece di applicare le direttive del CF ed indicare, almeno per i quadri, l'obbligo di conoscere attivamente una seconda lingua e passivamente una terza, si indicava tra i requisiti solo il tedesco, talvolta un po' di francese e naturalmente l'inglese. A furia di controllare e di reclamare, i concorsi adesso sono corretti; la discriminazione si sposta però nelle «segrete cose» e cioè nei colloqui di assunzione; lì si da il colpo finale alle speranze degli italofoni che a parità di competenze non vengono assunti perché chiaramente non sanno perfettamente il tedesco (e ci mancherebbe) e sotto sotto per il fatto che non sanno lo «schwitzerdüscht». Infatti il programma n. 56 dell'FNR dimostra che il capo ufficio svizzero tedesco consciamente o no preferisce avere nella sua equipe un suo collega piuttosto che andare a complicarsi la vita con un latino.


Se fino a poco tempo fa i romandi godevano di un qualche privilegio (un romando bisogna pur assumerlo per dimostrare che si tien conto delle minoranze!), oggi la storia si ripete pure per loro, anche perché nel frattempo la più gran parte dei quadri è di lingua tedesca e ci sono almeno due dipartimenti dove non ci sono né un romando né un italofono! L'ultima chicca è quella che la discussione dell'accordo contro la doppia imposizione tra la Svizzera e l'Italia è stata fatta in inglese!
A questo punto siamo veramente ad un bivio: o il CF dimostra di credere ancora ad uno dei fondamenti della Svizzera e mette a disposizione i fondi per invertire la tendenza nelle assunzioni di latini (in particolare di italofoni) e nell'uso delle lingue minoritarie nell'Amministrazione federale, oppure sarebbe più onesto dichiarare che il plurilinguismo non esiste più. Allora sarà veramente lecito chiederci: esiste ancora la Svizzera?

Autori

Chiara  Simoneschi - Cortesi

Chiara Simoneschi - Cortesi