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Francesco Somaini

Dalla cronaca locale al giornalismo sulla West Coast

Professione
dottorando in studi dei media

Anno di nascita
1977

Comune d'origine
Chiasso

Fuori Cantone dal
2010, negli Stati Uniti

Attuale residenza
Eugene, Oregon

Le prime collaborazioni giornalistiche a 19 anni, poi la laurea all'università e subito dopo l'incarico di cronista per la redazione di Chiasso di un noto quotidiano ticinese. Dieci anni di lavoro e infine, tutto d'un tratto, l'occasione: trasferirsi negli Stati Uniti per un dottorato di ricerca in studi dei media. Questa la storia di Francesco Somaini che nel 2010 ha fatto le valigie ed è andato ad abitare a Eugene, cittadina di circa 150 mila abitanti nel cuore dello stato dell'Oregon. "Quando frequentavo l'Università della Svizzera italiana ci dicevano che un periodo trascorso all'estero sarebbe stato fondamentale per la nostra formazione, ma dopo la laurea ho subito iniziato a lavorare in un giornale. Quindi penso che la voglia di emigrare ci sia sempre stata, in fondo. Mi mancava solo un'opportunità".

Come mai hai deciso di tornare sui banchi di scuola a trent’anni suonati?
"Erano un po' di mesi che mi ponevo domande sullo scopo del giornalismo, su ciò che facevo e su come lo facevo. Sentivo l'esigenza di approfondire le mie conoscenze nello studio dei media e in questo le università anglosassoni sono a mio avviso tra le migliori. Ho spedito decine di e-mail ad altrettanti professori sparsi per gli USA, e da Eugene mi hanno fatto sapere che c'era un posto a disposizione. Ho riempito tutte le carte e pochi mesi dopo aver ricevuto quella risposta sono stato accettato e sono partito insieme a mia moglie. Oggi sto lavorando a una tesi di dottorato sulla visione che ha la società degli immigrati e su come questa viene influenzata dai giornali".

Sentivi che per te era l'ultima occasione di lasciare il Ticino, il cosiddetto treno che passa una volta sola?
"Non so se sarebbe passato una sola volta, ma sono sicuro che questo valeva proprio la pena prenderlo!"

Lasciare un lavoro sicuro per fare lo studente universitario: è stata dura?
"La cosa più difficile è stata entrare nella mentalità di chi lascia il certo per l’incerto e deve pianificare al meglio quel poco che può. Ci è voluta anche una buona dose di incoscienza, specie per rinunciare a un salario sicuro e vivere in due con lo stipendio da dottorando che mi passa l'università. Ce la stiamo facendo grazie ai nostri risparmi e al prestito di studio del Cantone. Quando sono arrivato qua ho visto che ci sono migliaia di persone che vivono giorno per giorno, magari con meno risorse delle nostre, e non disperano. Abbiamo preso esempio. Oggi penso di riuscire a gestire meglio la paura dell’incertezza, e sono un po' più convinto che comunque vadano le cose, ne sarà valsa la pena".

Soddisfatto della tua università?
"Molto. Nel ‘mio’ dipartimento si fa ricerca e si insegnano le arti del giornalismo, delle pubbliche relazioni e della pubblicità. Si apprende a 360 gradi. La cosa che più mi ha sorpreso è la fiducia con la quale i superiori ti assegnano subito compiti di responsabilità, incluso l’insegnamento durante i corsi. Per loro fa parte della fase di apprendimento e piuttosto che imporre le loro scelte, preferiscono coinvolgerti nel processo decisionale".

Ti senti svantaggiato nello scrivere e parlare in inglese rispetto ai madrelingua?
"Non è sicuramente facile mettersi alla pari con chi ha a che fare con questa lingua sin dalla nascita, e l'unico modo per raggiungerli è esercitarsi tutti i giorni. Già nel 2009 io e mia moglie avevamo trascorso sei mesi a San Francisco dove passavamo nove ore al giorno tra lezioni e compiti. Oggi leggiamo quasi solo in inglese e guardiamo i film solo in inglese, anche se potremmo facilmente reperire delle pellicole in italiano grazie a Internet. Per arrivare a un livello ottimale non bastano i titoli di studio: la lingua bisogna viverla sul posto".

Che cosa hai imparato invece dal punto di vista umano?
"Oggi mi sento più determinato rispetto a un tempo; con il passare dei mesi è cresciuta la consapevolezza di esser riuscito a raggiungere alcuni obiettivi. Ho inoltre imparato a essere grato di quello che ho e più aperto nei confronti del prossimo, e a prestare favori senza per forza calcolare un tornaconto. Tutti valori che sento molto presenti nella società statunitense".

Quanto ti ha aiutato tua moglie in questo percorso?
"Moltissimo, perché mi ha sempre appoggiato e permesso di mantenere una certa tranquillità lungo tutto il corso del dottorato. Ha sbrigato gran parte delle faccende amministrative, mi ha spronato e mi è sempre stata vicina".

Tra pochi mesi terminerai il tuo dottorato. Cosa ti riserva il futuro?
"Con ogni probabilità lasceremo Eugene perché il ricambio all'interno delle università americane è la regola. Mi piacerebbe insegnare in un ateneo, ma tutto dipenderà dalle offerte che riuscirò a ottenere: potrebbe essere negli States come in Inghilterra, oppure in qualche altro Paese dell'Europa. Il bello sta proprio qui: ora ho la libertà di scegliere, facoltà che avrei difficilmente acquisito se fossi sempre rimasto in Ticino".

E a proposito del nostro Cantone: se trovassi un lavoro dalle nostre parti, lo accetteresti?
"Dovrei valutare, ma non mi dispiacerebbe. Rimane pur sempre casa nostra e dopo un'esperienza del genere, avrei il cuore più leggero di quando sono partito. Ho vissuto tre anni della mia vita all'estero, ho rubato molte idee e ho un bagaglio culturale più ricco del passato: se dovessi tornare potrei magari dare un contributo in più alla nostra società".

(Intervista raccolta nell'aprile 2013 da Mattia Bertoldi)

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