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Ci sono storie di emigrazione che portano molto vicino, appena al di là dei confini cantonali. Una di queste coinvolge le decine di ragazze dell'Alto Ticino che nei primi decenni del XX secolo si trasferirono in Svizzera tedesca per sposare - spesso inconsapevolmente - una vita rigida fatta di convitto e lavoro in fabbrica, spesso nel settore tessile. Come racconta Carla Rezzonico-Berri in un interessante articolo pubblicato sul "Bollettino della Società Storica Locarnese" nel 2005 e basato su memorie familiari e ricerche storiche, furono molte le ragazze che all'epoca abbandonarono le valli (nel caso specifico, la Verzasca) per firmare contratti di almeno due anni con le industrie d'Oltre Gottardo. L'alloggiamento era garantito dai convitti industriali, sorti nei pressi delle aziende e rette dalle suore della congregazione di Santa Croce di Menzingen. Sul tema, Werner Weick e Yvonne Pesenti hanno prodotto un documentario intitolato "Ragazze di convitto" nel 1988, presentato nel 2013 al Museo di val Verzasca.
Le cifre risalenti al 1910 parlano di 3500 donne (molte delle quali sotto i 20 anni) ospitate in circa sessanta sedi dove messe, quaresime e penitenze erano all'ordine del giorno. Una quotidianità fatta di stenti e regole che portò tuttavia nelle casse di alcune povere famiglie ticinesi qualche franco in più, seppur le paghe fossero basse per gli standard della Svizzera interna. Questa forma di emigrazione - nata e motivata dalla povertà - ebbe da una parte il pregio di insegnare alle adolescenti dal carattere più forte la tempra della disciplina e il mestiere del cucito e del ricamo, ben distante dalle occupazioni imposte dall'economia agricola del canton Ticino di quei tempi. Dall'altra, portò le ragazze più fragili ad affrontare una sfida più grande di loro, in qualche caso culminata anche nel suicidio; come ben scrive l'autrice dell'articolo, "quell'esperienza si aggiunge ad altre poco felici ed è un peso in più da portare nel cuore".
La disciplina e il rigore erano componenti fondamentali della vita in convitto, sin dal momento del risveglio. Le levatacce alle prime luci dell'alba erano seguite da messa (a digiuno) e comunione eucaristica; i momenti liturgici - insieme ai turni di pulizia o cucina all'interno dell'istituto - riempivano le poche ore di tempo libero, e in quaresima si percorreva il viale in ginocchio. Durante il tragitto verso la fabbrica era vietato chiacchierare o salutare i passanti, si recitava invece in coro il rosario. E anche durante l'anno le possibilità di interagire con il prossimo erano ridotte all'osso: fatta eccezione per una gita a Einsiedeln una volta l'anno sotto la sorveglianza delle suore, non erano ammessi permessi. Il silenzio nei corridoi e durante i pasti era la norma e tutte le lettere venivano controllate. In pratica, una vita di segregazione alla quale le giovani e imberbi ticinesi difficilmente erano preparate.