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Domande frequenti sui generici

I generici sono imitazioni di medicamenti da tempo in commercio. Si caratterizzano per lo stesso principio attivo, la stessa forma farmaceutica, la stessa modalità di somministrazione, lo stesso dosaggio e le stesse indicazioni. In altre parole, anche con i medicamenti si verifica quello che capita con i beni di consumo: se un prodotto piace ai consumatori e vende bene, allora le altre ditte cercano di copiarlo, per rosicchiare una fetta di mercato. Un generico può però essere messo in commercio solo quando è scaduta la protezione brevettuale.

Grossomodo 20 anni. Però è importante precisare che non cominciano dal giorno della messa in commercio del medicamento, bensì già dalla sintesi del principio attivo in laboratorio, ovvero da quando si scopre la molecola. Di conseguenza, una buona parte di questo periodo viene consumata per lo sviluppo del farmaco. Il tempo necessario per eseguire gli studi in vitro, sull'animale e - infine - sull'uomo è sempre più lungo, anche a causa delle esigenze giustamente sempre maggiori, tanto che oggi di questi 20 anni ne rimangono assai pochi a disposizione effettiva della ditta per vendere il medicamento senza avere concorrenti. Nel tentativo di correggere questa situazione, dal 1. gennaio 2002 la Legge federale sui medicamenti protegge per 10 anni la documentazione scientifica dell'originale. In concreto chi vuole registrare un generico potrà riferirsi ai risultati degli esami farmacologici, tossicologici e clinici dell'originale solo se sono trascorsi almeno 10 anni dalla sua omologazione. Altrimenti deve rifare tutti gli studi.

Il fabbricante del generico sarebbe evidentemente libero di ripetere da capo tutti gli studi che erano stati fatti a suo tempo per sviluppare l'originale. Ma ciò non è economicamente conveniente. E soprattutto è molto discutibile dal profilo etico. Quindi la registrazione di un generico non avviene praticamente mai sulla base di tali studi, ma facendo riferimento alla documentazione tossicologica e clinica dell'originale già in commercio. Siccome la composizione e la tecnica di produzione possono influire sulla liberazione del principio attivo dalla forma galenica e, dunque, anche sull'assorbimento, bisogna però dimostrare che generico e originale sono uguali. Nella maggioranza dei casi è sufficiente eseguire un cosiddetto studio di "bioequivalenza". In concreto, si somministra una dose del generico e in seguito una dose dell'originale a 24 volontari sani e si confrontano poi le cinetiche nel sangue. Se i parametri sono sovrapponibili con una variazione massima di ± 20%, si dice che i due medicamenti sono equivalenti.

Solitamente si, i generici sono assolutamente intercambiabili con l'originale. Ingerire una pastiglia del generico determina gli stessi effetti di una pastiglia del medicamento "di marca" e ha gli stessi effetti collaterali. Ci sono però alcune eccezioni che è bene tenere presente: per alcuni medicamenti con finestra terapeutica stretta (digossina, carbamazepina, fenitoina, ciclosporina, warfarina, levotiroxina) si raccomanda di essere molto prudenti nel passaggio dall'originale al generico - ma anche dal generico all'originale o dal generico A al generico B ! Ciò vale soprattutto per i pazienti ben stabilizzati. In questi casi, una variazione dei parametri farmacocinetici ancora compatibile con la definizione di bioequivalenza appena data (± 20%) può già avere un significato clinico e richiedere un adattamento della posologia.
Inoltre bisogna considerare che alcuni medicamenti contengono coloranti, conservanti o stabilizzatori non tollerati da alcuni pazienti allergici: questi additivi possono essere di natura diversa fra medicamento originale e generico. Da questo punto di vista il generico è spesso migliore dell'originale.

Da diverse indagini recenti risulta che circa due terzi dei cittadini svizzeri non sanno nemmeno cosa significhi il termine "generico". Non deve dunque sorprendere che da noi il mercato dei generici sia ancora piuttosto limitato. Di solito tutti i generici assieme raggiungono una quota di mercato del 20-30% rispetto a quella detenuta dal loro originale. Negli Stati Uniti, ad esempio, le cose vanno molto diversamente: già nel primo anno dopo la scadenza del brevetto l'originale perde il 70-80% della sua cifra d'affari a vantaggio dei generici. In Svizzera i generici possiedono dunque un grande potenziale di sviluppo. Globalmente il mercato dei generici rappresenta circa il 4% del mercato dei farmaci. Dunque più o meno 240 milioni o, se si preferisce, 150 milioni per la sola parte a carico delle casse malati, ospedali esclusi.

No. Se prendiamo i dati del mercato del 2003 e li esprimiamo in prezzo al pubblico, estrapolandoli (quindi con approssimazione) dalle cifre fornite dall'industria farmaceutica ed espressi in prezzo all'uscita dalla fabbrica, grossomodo possiamo dire che:

  • Per acquistare medicamenti sono stati spesi complessivamente 6408 milioni di franchi.
  • 4679 milioni, cioè ben il 73% sono determinati dai medicamenti ancora sotto brevetto, per i quali non può ancora esistere nessun generico.
  • 235 milioni, cioè il 3.7%, sono rappresentati dai generici. Questo è il loro mercato effettivo attuale.
  • 759 milioni, cioè il 11.8%, corrispondono alle vendite degli originali che hanno già un generico e che volendo potrebbero essere sostituiti. Questo è il mercato potenziale dei generici.
  • 735 milioni, cioè il 11.5%, sono invece gli originali con brevetto scaduto che però non sono sostituibili, perché il generico corrispondente non esiste ancora. Questo è dunque il mercato virtuale dei generici, mercato che resta del tutto teorico fino a quanto qualcuno si mette a fabbricare il generico.

Normalmente i generici costano meno. Tra l'altro, un generico può entrare a far parte dell'elenco delle specialità obbligatoriamente a carico delle casse malati solo se costa almeno il 25% in meno dell'originale già iscritto. Non ci si deve però illudere che un maggior ricorso ai generici - per altro auspicabile ! - sia la soluzione per "guarire" i costi dei medicamenti. Lo si può dimostrare con un semplice calcolo, certo grossolano, ma molto eloquente: supponiamo che la vendita dei generici aumenti di 4-5 volte, passando dal 3% al 13% del mercato. Per quanto riguarda la quota a carico delle casse malati, gli originali perderebbero in tal caso circa 300 milioni e verrebbero sostituiti dai generici al costo complessivo di 225 milioni (-25%). Il guadagno per le assicurazioni sociali sarebbe dunque di 75 milioni, pari a 90 centesimi al mese per ogni assicurato… In altre parole, non dobbiamo dimenticare che il grosso della spesa è rappresentato da medicamenti nuovi (e dunque anche piuttosto cari...), di cui i generici non esistono ancora.
Il vero interesse dei generici è invece rappresentato dal fatto che creano una concorrenza e quindi sono determinanti nel tenere stabili i prezzi, evitando quella spirale al rincaro che sarebbe invece facile ipotizzare in un regime di monopolio. È per questa ragione che è giusto sostenere anche i generici.

Effettivamente il ricorso ai generici è una cosa buona e giusta, ma nessuno deve illudersi che sia questa la soluzione di tutti i problemi. Bisognerebbe concentrare gli sforzi sul piano politico e legislativo, introducendo una riduzione d'ufficio del prezzo degli originali pari al 25% e applicata dal giorno stesso in cui scade il brevetto. Il guadagno per le casse malati sarebbe immediato, non dipenderebbe più dal comportamento di medici, farmacisti e pazienti ma soprattutto si applicherebbe anche a quei prodotti che non hanno alcun generico (cioè al mercato virtuale dei generici). Attualmente i benefici di questo sistema sarebbero quantificabili in circa 400 milioni. La strada intrapresa dal legislatore va chiaramente in questa direzione, ma si procede molto lentamente, verosimilmente per via dei grandi interessi economici in gioco.

Ci sono anche dei casi in cui l'originale costa meno di alcuni suoi generici. Negli ospedali e nelle cliniche poi con i generici spesso non si risparmia, perché il prezzo di acquisto dei medicamenti ospedalieri viene contrattato volta per volta fra i farmacisti ospedalieri e le ditte, tenendo conto delle alternative (se arriva un generico meno caro, si chiede uno sconto ulteriore alla ditta dell'originale...).

Fra gli aspetti negativi dei generici si cita in primo luogo la ristrettezza della gamma offerta. Se per l'originale esistono diversi dosaggi e diverse forme, per i generici non è così: il produttore di generici si concentra sulle forme e sui dosaggi che si vendono molto, quindi spesso non fabbrica supposte, fiale o gocce, cioè forme comunque indispensabili per alcuni pazienti particolari.

È un argomento che si sente spesso, ma non convince. La protezione brevettuale, di cui ogni nuovo medicamento beneficia per legge, comporta un certo periodo di monopolio di mercato, che dovrebbe essere ampiamente sufficiente per ricuperare gli investimenti determinati dallo sviluppo del farmaco. In certi casi il detentore del brevetto può anche richiedere un certificato di protezione per 5 anni supplementari. Per contro si può senz'altro affermare che i generici non hanno nessun valore aggiunto sul piano medico-scientifico. Infatti solo gli originali dispongono di una valida e solida documentazione scientifica e hanno un ruolo nella formazione dei medici.

Per un medico prescrivere l'originale o uno dei suoi generici è piuttosto indifferente. Sarà però più propenso a prescrivere l'originale, perché lo ha usato per anni, quando ancora non esistevano i generici. Il farmacista con il nuovo sistema di formazione dei prezzi dei medicamenti basato sulle prestazioni ha più o meno lo stesso guadagno, sia vendendo l'originale, sia vendendo un generico. Egli ha però il diritto di sostituire il prodotto prescritto dal medico con l'analogo meno caro esistente sul mercato, a condizione che il medico non sia espressamente contrario. Se i farmacisti utilizzano a pieno questo loro diritto, le casse malati spenderanno un po' di meno. Quale incentivo e giusto riconoscimento per i farmacisti che danno questa prestazione, è stato previsto un punteggio tariffale: in concreto, il farmacista intasca la metà della differenza di prezzo fra originale e generico, però solo fino ad un tetto massimo di circa 20 franchi.

No! L'articolo 52 della LAMal dice che "il farmacista può sostituire i preparati originali della lista delle specialità con prodotti generici meno cari di questa lista, a meno che il medico non richieda espressamente la consegna di un preparato originale. Egli informa la persona che ha prescritto il medicinale circa il preparato che ha fornito". Il medico deve dunque manifestare la sua opposizione già al momento della prescrizione, ad esempio aggiungendo sulla ricetta la menzione "non sostituire". In caso contrario, il farmacista agirà autonomamente e metterà il medico di fronte al fatto compiuto.

Sicuramente. Dei medicamenti con finestra terapeutica è già stato detto prima: in questi casi la decisione spetta solo al medico, perché la sostituzione implica degli interventi clinici, o quantomeno dei controlli. Una specie di "lista negativa" sarebbe utile. Poi è problematica una pratica del genere con certi pazienti, soprattutto anziani da tempo in trattamento con il "loro" medicamento. È difficile per il farmacista far loro capire che cambia il medicamento senza però cambiare niente…

Nell'elenco delle specialità, verso la fine. C'è una lista degli originali, ordinati secondo la classe terapeutica, con a fianco i relativi generici riconosciuti dalle casse. Su questa lista ci sono anche i prezzi, per cui si vede subito quali sono i casi interessanti.