La barchetta dei ricordi
Quando si giunge al Corte Mognola, si crede, tanto è vasta la conca che vi si apre nella sua dolcezza di pascolo-prato, di trovarvi il laghetto, che avrebbe, qui, un posto ideale per farsi ammirare; si scorge, invece, solo il torrente, che scende fra l'erba e gli alberi, sfiorandoli, e lo si segue, con gli occhi e contro corrente, fin che si trasforma, più in alto, in tante cascatelle che si distaccano da una roccia che vuole essere parete e, insieme, sostegno; si capisce, allora, che il laghetto dev'essere lassù, sotto le creste che sfilacciano le nuvole.
E lassù, infatti, v'è il Mognola, che si lascia scoprire, però, lentamente: vuole che si colga, adagio adagio, la sua bellezza, rispettata anche dalle sassaie che si sono fermate a pochi metri dalla riva, lungo la quale larici, rododendri, mirtilli e muschio bevono l'acqua del laghetto, che è verde da un lato e azzurra dall'altro.
Si immagina, quindi, che un giorno, a forza di essere così nutrita, nascerà, attorno a quest'acqua, una vegetazione tutta azzurra (i sassi, invece, sul fondo, hanno già un colore di sommersi giacimenti ferrosi che stanno sciogliendosi, su questo fondo, da secoli e coprono ciò che li circonda con una polvere che, appena staccata, diventa indiluibile); la montagna di fronte mostra, da parte sua, macchie e strisce gialle e si pensa, in questo caso, all'oro che, scoperto dal sole, splenderebbe, riflesso, nel Mognola, come una vampa che in un solo giorno lo prosciugherebbe.
L'acqua esce dal laghetto a malincuore: fa parte pure essa di un posto che ha un aspetto, a destra, morbidamente collinare e suggerisce le soste prolungate davanti allo scintillio che, trasportato verso una sponda dal vento, rinasce subito dopo accanto all'altra (ma poi, d'improvviso, scompare come se fosse stato beccato da un volo di cesene troppo rapido per essere seguito).
In mezzo a questo scintillio remava, una volta, la barchetta dei Buetti muraltesi, che avevano il diritto di pescar con le reti nel Mognola; l'aveva portata su da Fusio un bergamasco e doveva essere stata una scena favolosa: un omone che se ne andava in montagna con una barchetta in spalla e ogni tanto, per tirare un po' il fiato, la posava contro una roccia e, quando arrivò infine alla meta, udì alzarsi, tutt'attorno, i fischi delle marmotte che un po' lo interrogavano e un po' protestavano per quella strana presenza che, nata in un cantiere nautico di Locarno, era andata a finire a duemila metri di altezza.
La barchetta, in verità, non stonava in mezzo a quel paesaggio, che calma, in giro al laghetto, la franosa prepotenza dei dirupi: gli dava un tocco tra il pittoresco e il turistico e l'idillico e il Mognola sembrava, accogliendola, più basso (ricordava, allora, quello d'Osso cantato da Vittore Pellandini: «Tu sei l'imago / di pace e amor», o quello descritto da Enrico Talamona: «Un occhio di smeraldo che riposa / sul fondo di una conca verdeggiante»); ma bastava un po' di nebbia (quella che fa ancora fumare il camino della cascina dei Buetti, con la panchina, davanti, che aspetta, ogni sera, l'ultima luce) per diventare un laghetto d'alta montagna, che sa rendere severo, quando vuole, anche l'incanto.
Una barchetta quasi non ci starebbe, piccolo com'è, nel laghetto del Piattello, al quale si arriva, dal Mognola, camminando, a un certo punto del percorso, su ciò che resta dell'acquedotto in pietra (detto lassù «rungia»), che portava l'acqua, dal Corte di Cima, ai Canà, sino ai Corti del Sasso e di Mezzo dell'Alpe Vacarisc: un'opera confermante la bravura dei costruttori, che avevano saputo sfruttare, nel migliore dei modi, il materiale e la pendenza. Il Piattello, anche se ogni tanto diventa palude, ha la sua isola nel mezzo: una roccia decorata, al centro, da qualche ciuffo d'erba.
Le mucche la guardano, dalla riva, come se fosse l'erba più desiderabile del mondo e, non potendola raggiungere, leccano i massi chiazzati di verde con soddisfatta applicazione: come se quel verde fosse il concentrato, antico e sapido, di tutti i pascoli rifioriti, nel corte, ogni anno.