Chiusure natalizie
I servizi dell’Amministrazione cantonale rimarranno chiusi i pomeriggi del 24 e del 31 dicembre 2024.
La bufera della Rivoluzione francese aveva soffiato i suoi venti tempestosi in ogni parte d'Europa, senza risparmiare la piccola Svizzera. La vecchia Confederazione dei 13 Cantoni, con i suoi Stati alleati e i territori sottomessi, retta su un sistema istituzionale e sociale che mal si adattava ai tempi nuovi, era stata spazzata via nel 1798 dall'intervento dei cannoni della Francia repubblicana. Al suo posto era nata la Repubblica Elvetica "una e indivisibile", modellata sul centralismo istituzionale francese, che svecchiava antiche e anacronistiche strutture: veniva abolito il protettorato dei Cantoni sovrani su territori vassalli, erano sanciti il suffragio universale e l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, erano proclamate le libertà di pensiero, di circolazione, di commercio, si provvedeva a separare i poteri dello Stato e a promulgare una legislazione comune.
Ma la nuova Costituzione dell'Elvetica mal si conciliava con le antiche tradizioni federaliste e con il sistema dell'autogoverno regionale, e per questo fu odiata e combattuta. Si trascinò fra continui disordini per cinque anni, fino al 1802, quando Napoleone, Primo Console di Francia, per concordare un nuovo testo costituzionale convocò a Parigi i rappresentanti elvetici, accolti con queste parole: "La nature a fait votre État fédératif: vouloir la vaincre ne serait pas d'un homme sage". Il 19 febbraio 1803 l'"Eroe della Libertà di Europa" concedeva alla Svizzera l'Atto di Mediazione per pacificare le fazioni in lotta sull'orlo della guerra civile: nasce allora la moderna Confederazione dei 19 cantoni, in cui sono accolte le nuove repubbliche del Ticino, Argovia, Turgovia, Vaud, San Gallo e Grigioni.
Nel 1803 le discoste vallate ticinesi guadagnavano la dignità di Cantone libero e autonomo nel seno della Confederazione per circostanze esterne che interessavano la grande politica nazionale e internazionale. Ad alimentare il nuovo assetto istituzionale degli antichi "baliaggi italiani" non erano dunque state improbabili aspirazioni di indipendenza dei suoi abitanti, non del tutto malcontenti del temperato dominio esercitato per tre secoli dai Cantoni sovrani svizzeri, rispettosi delle autonomie regionali e delle tradizionali forme di autogoverno locale. Ai ticinesi toccava così sacrificare le proprie prerogative fin lì gelosamente difese, che irrigidite nel corso dei secoli non potevano certo reggere all'urto dirompente di una società in piena evoluzione.
L'Atto di Mediazione, dopo la tappa del 1798 in cui era stata fatta tabula rasa del passato, fu subito inteso come il momento fondatore per la storia del paese, a cui si spalancavano le porte della modernità: un evento celebrato persino da artisti contemporanei, che per l'occasione allestirono dipinti allegorici. Ma a quei pionieri dello Stato unitario e indipendente non sfuggiva come la lotta per la modernità contro le forze della tradizione sarebbe stata lunga e irta di ostacoli, poiché si trattava di amalgamare popoli tra loro vicini ma estranei per leggi, usi, costumi, ognuno abbarbicato nella difesa di antichi privilegi.
Nel 1803 fu posta la prima pietra dell'edificazione dello Stato cantonale, in un territorio povero, privo di infrastrutture, a cominciare dagli edifici in cui ospitare governo e parlamento, che dovettero adattarsi a chiedere ospitalità ai conventi di frati e monache. Occorreva porre in cantiere un'opera colossale di "incivilimento" del paese, adeguare il sistema legislativo ai tempi nuovi, costruire strade per favorire traffici e collegamenti interni tra i centri di pianura e di montagna, promuovere lo sviluppo economico e sociale in tutte le sue forme. Ma l'opera più difficile si sarebbe rivelata la formazione dei nuovi "cittadini", che non più "sudditi" faticavano ad accettare orizzonti politici più aperti, a superare la separazione delle coscienze e a riconoscersi nei valori della patria comune.