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Relatori

La costruzione del Polo del ‘900 ha costituito una tappa significativa per il ripensamento della storia, degli archivi e delle strategie di uso e digitalizzazione delle risorse culturali. Diciannove istituzioni diverse, tra fondazioni, associazioni, istituti culturali e un museo hanno trovato sede nei due palazzi juvarriani gemelli dei Quartieri Militari di Torino. Negli anni ‘90 il Palazzo San Celso viene ristrutturato per ospitare il Museo diffuso della Resistenza, l’Archivio Storico della Resistenza, l’Archivio Nazionale del Cinema della Resistenza, ai quali si aggiunge il Centro Primo Levi. Nel 2016, il Polo trova il suo compimento con la ristrutturazione di Palazzo San Daniele che ospita Fondazione Gramsci, Fondazione Nocentini, Fondazione Salvemini (che raccolgono gli archivi storici dei tre grandi sindacati italiani CGIL, CISL e UIL) l’ISMEL l’Istituto Storico per la Memoria del Lavoro, la Fondazione Donat-Cattin, la Rete di Cultura Popolare, le Associazioni combattentistiche e dei Partigiani, l’Istituto Gobetti.

È l’occasione per riunificare in un solo grande archivio tutti i fondi dispersi nelle differenti sedi con la realizzazione di una torre d’archivi dotata di 9 km di scaffali in contenitori compatti, e di una biblioteca di 220 mila volumi dedicata ai diritti civili, alla storia del ‘900 e alla storia del lavoro. Il polo, che raggiunge così una dimensione di 8000 mq, si dota di una moderna sala lettura/biblioteca da 60 posti, e con una selezione di 25 mila volumi a scaffale aperto, più l’emeroteca, di uno spazio per performance teatrali, reading, spazi espositivo, spazi gioco per bambini, aule didattiche attrezzate, di un bar e di altri servizi. Un patrimonio nascosto e disperso viene finalmente restituito alla città e diventa visibile e fruibile anche attraverso la dotazione di servizi che favoriscono l’accoglienza e l’abitabilità degli spazi. E, tuttavia, il processo di costruzione del Polo, la faticosa strategia d’integrazione della biblioteca, di ordinamento dei fondi e di sintonizzazione di così tante istituzioni diverse ha portato a una riflessione profonda sull’insostenibilità delle politiche di acquisizione dei documenti e di archiviazione fino a ora adottate. L’enorme spazio messo a disposizione per gli archivi è risultato immediatamente quasi saturo e incapace di contenere le espansioni future. Di qui una riflessione sulle modalità di conservazione e utilizzo digitale dei documenti, che ha dato luogo a un set di linee guida impegnative per gli istituti e che mirano a utilizzare gli archivi del Polo o come depositi tampone, in attesa della digitalizzazione dei materiali, operazione preliminare allo spostamento dei supporti materiali in altra sede, o a conservare quei documenti in cui il supporto materiale è di interesse storico scientifico irrinunciabile per l’interpretazione del documento.

Tutto ciò ha mobilitato gli interessi della Città di Torino e di Compagnia di San Paolo, che è stata l’istituzione che ha finanziato i restauri e la costituzione del Polo, a pensare a un progetto di digitalizzazione riguardante la gran parte delle istituzioni culturali torinesi e la concezione di una futura cittadella degli archivi dove conservare, – acquisendo gli standard più avanzati di digitalizzazione - sia i supporti fisici, sia le registrazioni digitali, fungendo da servizio centralizzato per le diverse istituzioni, a quel punto libere di dimensionare i propri archivi in base a policy concordate di messa a disposizione dei documenti per gli utenti finali.

La cittadella degli archivi così come viene ora configurata nelle riflessioni programmatiche non sarà un grande deposito, ma un istituto culturale, a sua volta aperto al pubblico, che dovrà rivoluzionare il rapporto tra cittadini, fruitori, ricercatori e archivi, ponendosi nella condizione – per massa critica, per dimensioni e per dotazioni tecnologiche – di elaborare le policy per la memoria – ivi comprendendo le policy di distruzione dei materiali – per l’intera città, secondo modi d’azione profondamente ispirati alla sostenibilità economica, culturale, sociale e ambientale dei processi di archiviazione.

Una delle eredità più interessanti della costruzione del Polo del ‘900 è, dunque, l’avvio di una fase di riflessione matura e consapevole, che vede cooperare allo stato attuale diverse istituzioni, alla luce dell’esperienza acquisita, per la costruzione di una policy futura capace di far fronte alla moltiplicazione delle esigenze di conservazione e di ordinamento dei materiali con un approccio rivolto agli utilizzatori finali e all’allargamento dei target dei fruitori.

Luca Dal Pozzolo, Architetto, è nato a Torino il 14/08/1956 è responsabile dell’area ricerca della Fondazione Fitzcarraldo e direttore dell'Osservatorio Culturale del Piemonte. È membro del comitato Scientifico dell’Osservatorio sulle Politiche Culturali di Grenoble e fa parte del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Culturale del Ticino. È tra gli esperti nominati dal Ministro al Tavolo Tecnico Europa Creativa presso il MiBACT, per l’individuazione di linee guida nell’uso dei fondi Europei per la cultura. Ha insegnato progettazione al Politecnico di Torino, dove attualmente tiene un corso di museografia, è docente nel corso di Laurea Specialistica “GIOCA” (Gestione e Innovazione delle Organizzazioni Culturali e Artistiche) presso la Facoltà di Economia di Bologna. Ha pubblicato numerosi libri e articoli sui temi dell’economia della cultura, dei musei e dei beni culturali, dell’intervento progettuale in contesti storici e sui temi culturali connessi alle trasformazioni urbane.

Media digitali e ricerca storica. L’esperienza del portale professionale infoclio.ch

I media digitali modificano ormai da oltre vent’anni svariati aspetti della ricerca scientifica. Anche nelle scienze storiche, tradizionalmente rivolte verso il passato, i nuovi media trasformano profondamente le pratiche quotidiane dei ricercatori. Pertanto, è tuttora difficile distinguere in quale direzione ci conducano i cambiamenti che si sviluppano sotto i nostri occhi. Cosa possono ottenere gli storici dall’uso dei media digitali? Con quali rischi la digitalizzazione della ricerca storica è collegata? Queste e altre domande sono all’origine della creazione del portale professionale per le scienze storiche infoclio.ch nel 2008 da parte dell’Accademia svizzera delle scienze umane e sociali e della Società svizzera di storia.

A otto anni della nascita del progetto, sarà presentata in quest’intervento una selezione di iniziative nate nell’ambito del portale infoclio.ch, in tre settori: quello della comunicazione scientifica, quello della pubblicazione elettronica e dei dibattiti legati all’open access, e infine il campo dell’interdisciplinarità e delle nuove metodologie di ricerca digitali.

Internet e il world wide web hanno rivoluzionato da tempo il modo in cui gli storici comunicano fra di loro, cercano informazioni e si tengono al corrente dell’attualità nel loro campo di ricerca. In Svizzera, il portale infoclio.ch e altre istituzioni mettono a disposizione diversi strumenti per trovare le risorse elettroniche disponibili e tenersi al corrente dell’attualità scientifica nelle scienze storiche. I principali servizi disponibili saranno brevemente presentati.

È ormai generalmente ammesso che libri cartacei e pubblicazioni digitali convivranno in parallelo per i prossimi tempi. Pertanto, le modalità di questa convivenza sono tuttora oggetto di dibattiti, che riguardano tra l’altro i modi di finanziamento della letteratura scientifica, il riconoscimento accademico delle pubblicazioni digitali e i regimi di accesso alla letteratura scientifica. La seconda parte della presentazione sarà dedicata alla discussione della pubblicazione elettronica nelle scienze storiche in Svizzera e alla presentazione di alcune recenti iniziative in questo ambito.

La realizzazione di un progetto digitale necessita competenze provenienti da diverse discipline. Richiede una stretta collaborazione fra ricercatori, software developers, specialisti dell’informazione e web designers. Questo quadro interdisciplinare comporta nuove sfide per la formazione dei giovani ricercatori. Determinate iniziative, che cercano di creare nuovi spazi di collaborazione transdisciplinare per le scienze umane nell’era digitale, verranno presentate nell’ultima parte dell’intervento.

Enrico Natale ha conseguito un Master in Storia e Latino presso l'Università di Ginevra e un Master in Scienze Politiche presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona. È dottorando all'Università di Basilea sul tema della storia digitale.
Dal 2010 Enrico Natale è impiegato dall'Accademia Svizzera delle Scienze Umane e Sociali come direttore di infoclio.ch, il portale professionale svizzero per le scienze storiche. In questa funzione ha realizzato, fra l'altro, un’edizione digitale dell'opera omnia di Jean-Jacques Rousseau (rousseauonline.ch), una guida all'informazione scientifica su Internet (compas.infoclio.ch), una collana di antologie digitali (livingbooksabouthistory.ch) e ha pubblicato diversi articoli sulle Digital Humanities, la storia digitale, e le mediazioni documentarie nell'era digitale.

Dimensione web e cultura: il caso dei musei italiani

Internet è un filo conduttore in molte delle innovazioni digitali ed è anche una fonte notevole di informazioni. L’osservatorio sull’Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano ha colto l’opportunità offerta dal web per “osservare” i musei italiani. Lo studio si è basato su tre passi. Il primo passo è stata l’analisi dei siti web di un campione di 203 musei, esplorando la tipologia di Home Page, la presenza di biglietteria online e gallerie virtuali, il riferimento a reti culturali, la presenza e tipologia di App.

Il secondo passo della ricerca si è focalizzato sull’analisi degli account ufficiali Social Media degli stessi 203 musei. In particolare si sono analizzati, ove presenti, Facebook, Twitter e Instagram. Con un bacino di circa 3,5 milioni di utenti i musei indagati mostrano una situazione molto diversificata. Emergono realtà attese come i Musei Vaticani (considerati come parte del patrimonio italiano), il Museo Egizio, il Museo Teatrale alla Scala con grandi bacini, ma con differenze nella capacità di coinvolgere gli utenti. Emergono poi musei con comunità più piccole ma con capacità di creare un maggiore legame e consapevolezza.

Infine nel terzo passo dello studio si sono analizzati 110 Musei Italiani (parte del campione precedente) osservando i social media ufficiali e non, attraverso una ricerca per parole chiave (ad esempio: chi parla degli Uffizi?). Tra i primi spicca per popolarità il Colosseo, ma altri musei si accendono in alcuni periodi a fronte di eventi e dibattiti online.

Lo studio rappresenta un primo lavoro di analisi sistematica in un mondo in grande fermento, che mira a fornire non solo il risultato sul campione analizzato, ma una riflessione critica sul valore dei dati e delle metodologie di analisi.

Michela Arnaboldi è professore ordinario di Accounting Finance & Control presso il Politecnico di Milano, Dipartimento di Ingegneria Gestionale. L’attività di ricerca è principalmente focalizzata su due aree: I modelli di gestione e misura delle prestazioni nel settore pubblico; L’evoluzione dei sistemi di controllo di gestione tra Big Data e reti. Dal 2012 è Direttore dell’area Institution & Public Administration del MIP Politecnico di Milano. Dal 2000 collabora con l’Institute of Public Sector Accounting Research della University of Edinburgh, del quale, nel 2009, diventa membro dello Scientific Committee. Nel 2008 è stata visiting professor presso il Centre of Analysis of Risk and Regulation della London School of Economics, con cui continua a collaborare. Dal 2011 collabora con la Faculty of Technology, Policy and Management della TuDelft University.

Collezioni museali online: imperativi etici e contingenze pratiche

Per il suo 50° anniversario, l’Associazione dei musei svizzeri (AMS) ha realizzato nel 2016 una pubblicazione dedicata alle sfide future[1], dando particolare enfasi al tema della digitalizzazione. Si tratta infatti di una tendenza generale che non risparmia il settore museale e che impatta il rapporto con gli oggetti, le relazioni con il pubblico o ancora l’organizzazione del lavoro all’interno degli istituti.

Al contrario di quanto proposto dalle biblioteche, i musei non palesano una tendenza a considerare l’avvento del digitale come un fenomeno che mette in pericolo la propria esistenza. Lo sviluppo della comunicazione sui canali digitali e delle realtà virtuali ha piuttosto stimolato nuovi processi di valorizzazione di ciò che fa l’identità del museo: la sperimentazione fisica dell’esposizione e la comprensione degli oggetti nella loro materialità. Da un certo punto di vista, il digitale nel museo è al servizio dell’analogico. Al servizio dei musei, l’applicazione delle cosiddette “nuove tecnologie” non dovrebbe conoscere limiti o condizioni.

In un contesto dove gli appelli all’innovazione tecnologica sono onnipresenti, i musei potrebbero essere pionieri del settore. Ma non è il caso, per un motivo molto semplice: ciò che è possibile realizzare, non è forzatamente necessario. In altre parole, l’assenza di pericoli non sollecita l’azione: la valorizzazione digitale rimane pertanto un nice to have.

È vero che gli istituti museali separati dal mondo digitale non corrono rischi, ma è altresì vero che vi sono degli imperativi deontologici che dovrebbero sollecitare perlomeno una messa a disposizione dei cataloghi online. In effetti, i musei “al servizio della società”[2], raccolgono oggetti per le comunità allo scopo di trasmetterli di generazione in generazione. Si rivela pertanto indispensabile che la popolazione possa accedere liberamente ai tesori raccolti a loro nome. Tecnologicamente, la messa a disposizione di una banca dati non richiede più risorse particolari. Malgrado la relativa facilità, pochi musei hanno attivato questa offerta, mentre alcuni istituti non dispongono neppure di un catalogo interno informatizzato.

Allo scopo di sensibilizzare i musei sull’importanza degli inventari, l’AMS ha realizzato nel 2015 una pubblicazione che riprende i principi fondamentali del settore[3]. Inoltre, per i musei che dispongono già di un catalogo su Internet, l’AMS promuove un portale svizzero delle collezioni[4]. L’obiettivo di questo nuovo servizio è di mettere a disposizione dei ricercatori, curatori e altre persone interessate tutti gli oggetti dei musei svizzeri disponibili online. Attualmente sono disponibili 236'000 oggetti provenienti da 28 collezioni.

Evidentemente la digitalizzazione nel settore museale non si limita alla condivisione dei cataloghi su Internet. Alcuni musei hanno realizzato, ad esempio, progetti di esposizioni virtuali, mentre altri offrono ai propri visitatori delle guide multimediali. In altri casi, gli istituti hanno aperto nuovi canali di comunicazione con il pubblico, come i social networks o l’app dei musei svizzeri[5].

L’essenziale è che le tecnologie digitali possano offrire concretamente un valore aggiunto alle attività del museo. Il fatto che i musei non si sentano minacciati dall’avvento del digitale è un fattore che permette di riflettere con calma, senza lasciarsi trasportare da decisioni affrettate, sulle opportunità offerte dalle tecnologie attuali e future a supporto di un arricchimento sostenibile dell’esperienza vissuta durante la visita del museo.

David Vuillaume dirige il segretariato unificato dell’Associazione dei musei svizzeri (AMS) e del Consiglio Internazionale dei Musei (ICOM Svizzera) dal 2006. Ha studiato storia dell’arte, museologia e economia aziendale a Losanna e Zurigo ed ha partecipato a numerosi progetti sviluppati da musei e altre istituzioni. Parallelamente alla vita professionale principale, David Vuillaume è membro del Consiglio di fondazione del Passaporto musei svizzeri. Nel 2012 è stato eletto nel comitato dell’Associazione europea dei musei (Network of European Museum Organisations - NEMO) di cui ha assunto la presidenza nel 2014.

[1] Il museo e i suoi futuri, AMS, 2016: www.museums.ch/it/pubblicazioni

[2] Definizione di museo del Consiglio internazionale dei musei, ICOM, 2004: www.icom.museum

[3] L’inventario nel museo, AMS, 2015: www.museums.ch/it/pubblicazioni

[4]www.museums-online.ch

[5]www.museums.ch/applimobile

E pluribus unum? Forse non più

Gli authority files vengono utilizzati per identificare univocamente le entità (risorse, individui ed enti), nonché le loro proprietà (le relazioni che le collegano le une alle altre e le caratteristiche che le distinguono). Già importanti nel mondo analogico, sono diventati essenziali nell’universo digitale per reperire l’informazione e analizzarne la natura. Infatti, la gestione delle ambiguità, una procedura spesso difficile per il cervello umano, ma allo stato dei fatti assai più problematica per il computer, richiede che ogni entità, così come ogni sequenza di passi, venga esattamente identificata ed esplicitamente dichiarata. Attraverso l’attribuzione di uno stesso identificativo, viene indicato quali termini, nomi o numeri si riferiscono alla medesima entità o hanno il medesimo significato. Quando viene lanciata una ricerca, il computer è in grado di navigare da un identificativo all’altro seguendo i collegamenti e di raccogliere, raggruppare e organizzare tutte le informazioni recuperate in questo percorso reticolare.

La percentuale del patrimonio culturale disponibile in formato digitale è ormai assai elevata, avendo beneficiato, nel corso dell’ultimo decennio, di campagne intensive di conversione in formato elettronico di documenti analogici (il cosiddetto “digitale secondario”), nonché della creazione di un numero via via crescente di documenti nativamente digitali. Tutti i settori – biblioteche, archivi e collezioni storico-artistiche – vi hanno contribuito, applicando ciascuno i propri standard e le procedure consolidate nel corso del tempo e rese necessarie dalle specificità che ciascuna tipologia di materiale presenta. In taluni casi l’acquisizione delle immagini digitali ha proceduto in parallelo con la realizzazione di veri e propri censimenti; nella maggior parte dei casi, invece, le digitalizzazioni hanno riguardato ambiti circoscritti e sono state occasionate da ricorrenze, progetti di ricerca, finanziamenti internazionali.

L’esistenza di questi patrimoni digitali ha richiesto l’allestimento di portali e di altri dispositivi volti ad ampliare il numero e le modalità di accesso ai dati e agli oggetti e a potenziare il valore aggiunto indotto dall’incrocio tra dati provenienti dai diversi ambiti, quel fenomeno noto con il termine cross-fertilisation. L’uso strategico degli identificativi può consentire la conservazione del contesto di provenienza del singolo record o dato e, al tempo stesso, agevolare la realizzazione di strumenti nuovi, come i sistemi dinamici di e-reference.

Tra le realizzazioni internazionali, una tra le più conosciute è il portale Europeana, che non è una biblioteca digitale vera e propria, ma il risultato dell’aggregazione di un gran numero di digitalizzazioni attuate da istituzioni di differente natura ed appartenenti a diversi Paesi, con l’applicazione di criteri, lingue e formati eterogenei. In uno strumento di questo genere, il più grande ostacolo ad una comprensione realmente efficace di quanto viene offerto all’utente risiede tuttavia nell’insufficiente corredo di informazioni volte a chiarire il contesto di provenienza degli oggetti. La ricerca può infatti produrre una sequenza anche estesa di oggetti accomunati da una specifica caratteristica e all’utente in questo caso non resta altra scelta che esaminare la singola descrizione, eventualmente accedendo al sito di provenienza, oppure servirsi dei filtri, dei quali ha un’ampia disponibilità, ma la cui applicazione comporta una segmentazione della ricerca e un allungamento dei tempi che di certo non giova all’apprezzamento dello strumento. L’uso di uno schema “piatto”, come Dublin Core, ideato per descrivere singoli oggetti digitali e poi utilizzato prevalentemente per consentire l’interoperabilità tra formati altrimenti incompatibili, non agevola l’implementazione di una struttura gerarchica, che consenta di valorizzare la complessità delle relazioni esistenti tra i singoli oggetti descritti. Per questa ragione Europeana ha fatto evolvere il proprio modello di dati insieme al protocollo utilizzato per trasferire nuclei di dati dagli archivi di provenienza al proprio archivio centrale.

Quando progressivamente le grandi masse di dati costituite dai cataloghi delle biblioteche e delle altre istituzioni culturali, nonché dai dataset della ricerca si renderanno direttamente disponibili in Internet, senza essere più ingabbiate nei loro depositi originari, sarà necessario disporre di modelli di dati e protocolli che consentano di organizzare, amministrare, incrociare e rendere accessibile questa ricchezza di informazioni. È l’importante contributo che ci aspettiamo dai Linked Open Data, la cui diffusione ci fa riferire ad Internet come al web dei dati e non più soltanto come al web dei documenti.

Paul Gabriele Weston: Laureato in Lettere (La Sapienza Università di Roma), diplomato in Archivistica (Scuola dell’Archivio Segreto Vaticano) e in Biblioteconomia (Scuola Vaticana di Biblioteconomia), dal 1983 al 2000 lavora alla Biblioteca Apostolica Vaticana, in qualità di responsabile dei progetti digitali e collabora allo sviluppo della rete URBS, una organizzazione internazionale di istituti e centri di ricerca con sede a Roma. È stato docente di Catalogazione bibliografica alla Scuola Vaticana di Biblioteconomia dove attualmente tiene il corso di Biblioteca digitale.Dal 1° novembre 2000 è Professore associato all’Università di Pavia.Dal 2007 insegna Gestione dei testi (poi Elementi di biblioteca digitale) all’Università della Svizzera Italiana e dal 2014 Biblioteconomia digitale cp all’Università Ca’ Foscari di Venezia.Fa parte del coordinamento scientifico della Biblioteca digitale BEIC (Milano), dell’Ufficio Nazionali per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI, dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU). È coordinatore del Comitato scientifico di Pavia Archivi Digitali presso l’Università di Pavia.Coordinatore di convegni nazionali ed internazionali, ha pubblicato monografie e articoli.È Direttore scientifico della rivista AIB Studi e fa parte del comitato scientifico di altri periodici del settore.

Numérisation de la presse suisse: réalisations et perspectives

La Biblioteca nazionale svizzera (BN) digitalizza e mette online la stampa svizzera dal 2009, in collaborazione con le biblioteche patrimoniali cantonali e gli editori. Dal 2011 propone ai suoi partner la piattaforma per la consultazione dei quotidiani Presse suisse en ligne (PSEL - http://newspaper.archives.rero.ch).  

La stampa è una fonte straordinariamente ricca per i ricercatori, per questo motivo la sua digitalizzazione è prioritaria per la BN. Oltre alla “semplice” messa a disposizione online dei quotidiani, la BN riflette al plus valore che potrebbe essere aggiunto a questo corpus. In questo contesto, ha partecipato al progetto Presse del laboratorio Digital Humanities dell’EPFL e del quotidiano Le Temps, il cui obiettivo era di trasformare gli archivi di tre giornali romandi in un vero sistema di informazione, esplorando il tipo di analisi che può essere condotta su un tale sistema. Grazie al progetto, la collezione degli archivi di Le Temps è ora online grazie a un softwareopensource sviluppato ad hoc. Questo tipo di collaborazione presenta forze e debolezze. Il prodotto finale è soddisfacente sia per i ricercatori che per il pubblico non specializzato? La struttura di progetto permette di assicurare gli sviluppi necessari a mantenere aggiornata la piattaforma di consultazione?

Dopo cinque anni di esperienza con la piattaforma PSEL e con gli insegnamenti del progetto Presse, la BN avvia la riflessione sul futuro dei suoi progetti di digitalizzazione della stampa: bisogna continuare a privilegiare la quantità rispetto alla qualità? Quale grado di precisione nella segmentazione dei giornali è pertinente per servire gli interessi dei ricercatori e quelli del pubblico generalista? Come migliorare la qualità del riconoscimento testuale per migliorare la precisione dei risultati di ricerca? Come sviluppare le collaborazioni con gli istituti di ricerca per intensificare l’uso delle collezioni rese disponibili?

Liliane Regamey, licenza in storia e diploma in biblioteconomia, è responsabile della sezione Utilisation (digitalizzazione, foto e riproduzioni, informazione al pubblico e prestito) della Biblioteca nazionale svizzera (BN) dal 2006. Supervisiona i progetti di digitalizzazione che la BN realizza al suo interno o in partnership con le istituzioni patrimoniali cantonali e gli editori. Avvia progetti di sviluppo delle attività della BN nell’ambito del servizio al pubblico.

Quand l’histoire de chacun fait l’histoire de tous: notrehistoire.ch

Il progetto notreHistoire.ch è nato nel 2009 in Svizzera Romanda ed è gestito dalla Fondation pour la sauvegarde du patrimoine audiovisuel de la Radio Télévision Suisse (FONSART). Nel corso dei primi anni di attività il progetto si è affermato diventando uno dei principali portali della Svizzera romanda.

In sintesi, si tratta di una piattaforma partecipativa che permette a organizzazioni e privati di caricare e condividere materiali eterogenei, quali fotografie, registrazioni sonore, video e testi. I documenti possono confluire in gruppi d’interesse che vertono su personalità, eventi, luoghi o fatti di vita quotidiana e nel loro insieme costituiscono la memoria collettiva della Svizzera romanda.

La piattaforma è aperta e gratuita per tutte le istituzioni della memoria. Grazie a questo portale, biblioteche, archivi, musei, aziende e privati sono in grado di depositare documenti appartenenti ai loro fondi, che a loro volta possono essere arricchiti con materiali provenienti da altre fonti. Ogni istituzione può definire quali funzioni consentire sui propri materiali. La partecipazione a questa piattaforma permette all’istituzione di essere presente in un progetto editoriale di primo piano a livello svizzero.

Il sito è accessibile dall’indirizzo www.notrehistoire.ch. Il 27 ottobre 2016 è stata ufficialmente attivata una nuova versione della piattaforma, basata su tecnologie open source.

Dati chiave del portale notreHistoire.ch

  • In sei anni, 1'300'000 di utenti si sono collegati al sistema, 14 milioni le pagine consultate
  • 66'000 fotografie, 10'500 video, 3’920 audio, 1'130 articoli
  • 21 istituzioni, 25 associazioni e 3'700 privati iscritti: Radio Télévision Suisse, Archives cantonales vaudoises, Bibliothèque cantonale et universitaire de Fribourg, Médiathèque du Valais, Photothèque Nationale, Université de Genève,…
  • 1'675 gruppi d’interesse: Luoghi da identificare, Foto di classe, Treni della Svizzera, Esposizione nazionale del 1964, Costumi, Losanna, Vecchie automobili, Artisti, Ricette di cucina, Alpeggi, Barche del Lemano, Dialetto vodese, Musei e fondazioni,...

Françoise Clément: Dopo gli studi classici all’Università di Friborgo, Françoise Clément ha iniziato la sua carriera presso gli archivi della Radio della Svizzera Romanda nel 1987. Nel 1993, collabora con il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) in qualità di delegata. Rientrata in Svizzera nel 1998, Françoise Clément entra nelle file dell’associazione Memoriav, attiva nella salvaguardia, valorizzazione e divulgazione del patrimonio culturale audiovisivo svizzero. L’anno seguente inizia a lavorare presso la Televisione Svizzera Romanda, dove sarà nominata nel 2002 capo del servizio Documentazione e Archivi. Dal 2010 al 2015, occupa il posto di capo del servizio Documentazione e Archivi della Radio Télévision Suisse (RTS), che riunisce la Televisione Svizzera Romanda e le Radio Svizzera Romanda.
Dal 1° gennaio 2016 è Segretaria generale della Fondation pour la sauvegarde et la valorisation du patrimoine audiovisuel de la RTS (FONSART), organizzazione attiva nel settore della digitalizzazione e valorizzazione degli archivi audiovisivi e delle fonti storiche della Svizzera Romanda, primariamente con la creazione e lo sviluppo della piattaforma notreHistoire.ch.

Claude Zurcher ha iniziato la carriera nella stampa scritta nel 1989. Capo redattore di diverse pubblicazioni, tra cui una rivista d’arte, ha lavorato nell’editoria prima di aderire al progetto di digitalizzazione e valorizzazione degli archivi della Televisione Svizzera Romanda nel 2005. Sul sito degli archivi www.rts.ch/archives, Claude Zurcher ha pubblicato un’ampia scelta di fonti della TSR per il periodo che va dal 1932 ad oggi. Nel 2009, con Françoise Clément, inaugura la piattaforma notreHistoire.ch, di cui assume la responsabilità editoriale. Parallelamente ai lavori realizzati sul web, Claude Zurcher porta avanti attività editoriali e di cronista.

Valais * Wallis Digital - le crowdsourcing pour la sauvegarde d'un patrimoine multimédia cantonal

Nel 2015 il Vallese a festeggiato il 200esimo anniversario della sua entrata nella Confederazione elvetica. Per commemorare questo bicentenario, lo Stato del Vallese ha indetto un concorso d’idee, al quale hanno partecipato l’Idiap e i suoi partner con il progetto Valais*Wallis Digital. Scopo del progetto è di applicare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie per digitalizzare la memoria storica collettiva.

La memoria collettiva è composta naturalmente dai documenti d’archivio conservati nelle istituzioni pubbliche, ma non solo: anche le associazioni e i privati conservano i loro ricordi che, lasciati isolati, hanno valore soprattutto personale. Una volta riuniti, contestualizzati e messi in relazione tra di loro assumono tutto il loro valore. Tuttavia, in genere questi archivi giacciono nelle cantine e nei solai, pur essendo miniere d’oro da cui trarre informazioni sulla storia sociale e culturale di una città, una regione o un cantone.

Raccogliere e condividere i ricordi

In occasione del bicentenario dell’entrata del Vallese nella Confederazione, l’Istituto di ricerca Idiap di Martigny, specializzato nella gestione dell’informazione multimediale, ha lanciato insieme ai suoi partner (Médiathèque Valais, Archivio di Stato del Vallese, Cooperativa Migros e la Scuola Professionale di Arte Contemporanea) il progetto Valais*Wallis Digital, con lo scopo di fornire alla popolazione vallesana una piattaforma per depositare e riunire in forma digitalizzata le fotografie, i filmati, i file audio o i documenti scritti con valore storico. La piattaforma permette di raccogliere gli archivi e condividerli all’indirizzo www.valais-wallis-digital.ch.

Partecipare alla salvaguardia del patrimonio regionale fornisce anche un contesto in cui applicare le ricerche in scienze digitali dell’Idiap. Tali ricerche consistono soprattutto nel trattamento e indicizzazione di banche dati multimediali, risultanti di un processo partecipativo della popolazione. Questo tipo di progetto dovrebbe avere un impatto che va al di là di Valais*Wallis Digital, legato allo sviluppo di nuovi strumenti informatici che permettano di fronteggiare le sfide societarie future, come la gestione dell’energia, le cure mediche e l’ambiente.

Giochi di carte e app come mezzi di comunicazione

Parallelamente, per promuovere il progetto i partner dell’iniziativa hanno creato un gioco di carte Migros Mania, con 200 avvenimenti significativi nella storia vallesana degli ultimi due secoli, su temi variegati come l’agricoltura, la gastronomia, l’arte, la cultura, la spiritualità, storia e tradizione, immigrazione ed emigrazione e via dicendo.

L’app per telefoni cellulari Valais*Wallis Digital, disponibile gratuitamente, permette di gestire la collezione delle carte Migros Mania scansionandole con strumenti di riconoscimento delle immagini. Grazie a questa app, gli utenti possono anche consultare e caricare i loro dati storici sulla piattaforma Valais*Wallis Digital.

Un successo mitigato

Il bilancio dell’iniziativa promossa dall’Istituto di ricerca Idiap è solo parzialmente soddisfacente. Per quanto concerne la piattaforma, la parte tecnica funziona perfettamente. Tuttavia il numero di documenti depositati è al di sotto delle attese. Sarebbe stato più efficace definire un perimetro d’azione più preciso? Associarsi a circoli di persone più ristretti e più inclini a ricercare negli archivi e a condividere con altri appassionati? Come fare per incoraggiare individualmente la pratica della digitalizzazione degli archivi? Il successo del crowdsourcing è legato a una cultura regionale? La raccolta di documenti avrebbe avuto maggior successo in un altro cantone?

François Foglia, dottore in chimica dell’Università di Losanna e MBA in gestione d’impresa dell’Università di Barcellona, lavora all’istituto di ricerca Idiap dal 2006, dove si occupa dell’amministrazione e del trasferimento di tecnologie. Dal 2012 è direttore aggiunto dell’istituto di ricerca. Inoltre ha assunto la direzione di IdeArk SA, incubatore di 21 start up con attività vicine a quelle dell’Istituto di ricerca.

Patrimoni viventi delle regioni alpine e memorie digitali

L’Archivio di Etnografia e Storia Sociale – AESS – della Regione Lombardia è una istituzione pubblica che si occupa dal 1972 del patrimonio di cultura tradizionale delle comunità lombarde, e oggi del patrimonio culturale immateriale come inteso dalla Convenzione Unesco del 2003. I fondi documentari (audio, video, iconografici e cartacei) che costituiscono il patrimonio di AESS sono il risultato di indagini realizzate “sul campo” direttamente o su commissione, di acquisizioni da Fondi privati e pubblici. Si tratta di circa 1.000.000 di immagini fotografiche, 6.000 supporti audio di vario formato, 4.500 supporti tra pellicole e video e costituiscono un corpus in costante aggiornamento.

L’attività di ricerca viene svolta sia direttamente dal personale che opera nell’Archivio che attraverso inviti pubblici o nell’ambito di progetti pluriennali cofinanziati da Fondi europei o Fondazioni Bancarie (es. Iron Route, Giochi d’Archivio, Città in Movimento, BLUe, LTL, E.CH.I. Alpfoodway).

L’Archivio svolge una costante attività di conservazione, catalogazione e digitalizzazione dei Fondi e delle Raccolte conservate finalizzata alla pubblica divulgazione dei documenti che possono essere richiesti anche da soggetti esterni per progetti divulgativi senza scopo di lucro, previa autorizzazione.

Nell’ambito del presente Convegno verrà presentata l’attività in corso di digitalizzazione dei contenuti dei documenti AESS attraverso il Progetto “Digital Archive” in rapporto con le possibilità offerte dal digitale per la loro divulgazione. Il digitale apre un interessante processo di riappropriazione dei patrimoni da parte delle comunità che sono state protagoniste dei fatti documentati e rende possibile un dialogo nuovo tra ricercatore e soggetti della ricerca. Un risultato di questo processo è disponibile sul sito “Intangiblesearch.eu”.

Renata Meazza è attualmente curatrice dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia, coordinatrice di progetti di ricerca etnoantropologica, gestione degli archivi, sviluppo del sistema di catalogazione dei documenti multimediali, organizzazione di progetti europei di sviluppo culturale, responsabile del riconoscimento e valorizzazione degli ecomusei lombardi.
Negli ultimi anni si è occupata di patrimoni immateriali, ha curato con Guido Bertolotti il numero 64 della Rivista La Ricerca Folklorica “Beni immateriali. La Convenzione Unesco e il folklore”, ha sviluppato in collaborazione con il CNR di Milano il portale Intangiblesearch – Inventario online dei patrimoni immateriali delle regioni alpine.
È autrice di numerose pubblicazioni, anche discografiche risultato di ricerche in Medio Oriente, India e Italia Centrale (Collezione Albatros).

 

Agostina Lavagnino, laureata in Lettere Moderne (Dialettologia) presso l’Università degli Studi di Pavia. Attualmente coordina le attività di catalogazione dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale (AESS) della Regione Lombardia. Ha coordinato le attività di progettazione del sito web dell’Archivio (www.aess.regione.lombardia.it), del sito per la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale (www.intangiblesearch.eu) e coordinato le attività del progetto “Lombardia Digital Archives. Digitalizzazione e creazione di servizi per la gestione e l’accessibilità di contenuti digitali multimediali”. Ha svolto attività di ricerca sul campo, di rilevazione etnografica, dialettologica e linguistica. In particolare, nell’area pavese ha condotto ricerche sui repertori narrativi di tradizione orale e sui costruttori artigianali di fisarmoniche di Stradella.

 

Varie fonti – un’unica ricerca. Il Wissensportal della biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo e l’applicazione ETHorama

La biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo (ETH-Bibliothek) è il centro d’informazione dell’istituto universitario. È la più grande biblioteca scientifica svizzera e, nel contempo, uno dei più importanti poli d’informazione europei nel campo delle scienze tecniche e naturali. All’interno della biblioteca dell’ETH non si trovano solo fondi librari, riviste e banche dati informatizzate. Vi sono conservati anche una serie di fondi documentari e raccolte non prettamente bibliotecari come l’archivio amministrativo e istituzionale del Politecnico di Zurigo, l’archivio fotografico, gli archivi personali di Thomas Mann e Max Frisch, le collezioni sia di arti grafiche che di oggetti di storia naturale e tecnica (www.library.ethz.ch/de/Ueber-uns/Funktion-Sammelgebiete-Kennzahlen). Nei settori summenzionati si sta procedendo a una digitalizzazione su larga scala con l’intento di rendere accessibile al pubblico tramite il servizio WWW una grossa parte dei fondi analogici accanto a quelli nati già in formato digitale (i cosiddetti digital born).

Inoltre a partire dall’anno 2000, a livello globale, la disponibilità d’informazione in formato esclusivamente digitale è aumentata vertiginosamente. Perciò negli ultimi 10-12 anni anche l’offerta di questo genere di informazione si è rapidamente evoluta nelle biblioteche scientifiche-universitarie, attraverso lo sviluppo di un’ampia scelta di servizi e prodotti elettronici. Questa crescita ha comportato nuovi compiti per le biblioteche come la messa a disposizione alla propria utenza di vari servizi d’informazione e di consulenza. Ciò ha moltiplicato di fatto le vie d’accesso all’informazione rendendo allo stesso tempo più difficile per l’utente trovare quanto richiesto. Quindi la ricca gamma di prodotti digitali presenti nella biblioteca, considerata di per sé un fatto positivo, non risulta immediatamente accessibile a causa della mancata coordinazione tra i vari servizi di ricerca presenti. L’obiettivo principale della ETH-Bibliothek è quello di migliorare, in accordo con le necessità e gli interessi degli utenti, il diretto e semplice accesso ai diversi tipi d’informazione disponibili in biblioteca.

La biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo era quindi interessata a creare uno strumento di ricerca di semplice utilizzo e quanto più possibile intuitivo, con lo scopo di proporre ai propri utenti la possibilità di approfittare dell’immensa offerta di informazione potenzialmente rilevante. Quindi, per far fronte alla quantità e all’eterogeneità sia contenutistica che tecnica del portfolio digitale presente all’interno della ETH-Bibliothek e per facilitare la ricerca tra risorse digitali e analogiche diverse, è stato messo a punto nel giugno 2010 un portale pensato come singolo punto d’accesso all’informazione: il Wissensportal (www.library.ethz.ch). Con l’utilizzo del Wissensportal come primo e unico punto d’ingresso alle varie applicazioni e ai vari prodotti elettronici forniti dalla biblioteca, così come alle risorse analogiche e digitali custodite dalla biblioteca, vengono così eliminate le complesse e variate procedure di ricerca che rappresentano, nella maggior parte dei casi, un ostacolo nell’accesso all’informazione.

Dal 2010 a oggi l’utilizzo in rete dei prodotti e delle fonti proposti dalla Biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo e dei patrimoni custoditi dalla stessa è migliorato regolarmente. Al Wissensportal si è aggiunta nel 2015 una nuova applicazione chiamata ETHorama. Essa permette un accesso alle sole risorse disponibili in formato digitale sia tramite mappe georeferenziate che per mezzo di POIs e AOIs (Point e Area of Interest). In questo preciso caso si tratta unicamente dei patrimoni conservati alla ETH-Bibliothek. ETHorama ricalca le riflessioni che portarono già alla nascita del Wissensportal, e cioè la visione di poter offrire ai propri utenti la possibilità di cercare e trovare l’informazione desiderata in modo comprensibile e chiaro. Il pubblico deve inoltre poter disporre di un accesso facile e intuitivo all’informazione eterogenea presente all’interno della Biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo.

Agnese Quadri: Nata a Milano. Laurea (M. A.) in storia dell’arte, archeologia protostorica-medievale e germanistica presso la Albert-Ludwigs-Universität Freiburg (Brisgovia) in Germania. Master of Advanced Studies in Scienze dell’informazione (MAS IS) alla Hochschule für Technik und Wirtschaft (HTW) a Coira. 2011-2012 assistente scientifica nella fototeca del Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut a Firenze. Dal 2013 collaboratrice nella sezione Collezioni e Archivi della Biblioteca del Politecnico Federale di Zurigo.

Agire localmente, pensare globalmente

Lo scopo della Biblioteca digitale Beic (www.beic.it) è quello di rendere liberamente accessibile un vasto complesso di autori e di opere tra le più significative della cultura mondiale, lungo un arco temporale che va dal mondo antico all’età contemporanea. Essa non mira a digitalizzare “tutti i libri del mondo”, né singoli fondi di biblioteche e nemmeno è circoscritta ad uno specifico settore della cultura e della conoscenza. Possiede però un insieme di caratteristiche che la rendono riconoscibile nel crescente panorama delle biblioteche digitali.

La prima è la selettività. Per individuare le opere da includere nelle collezioni digitali è stato chiesto a specialisti dei singoli settori disciplinari di selezionarne un certo numero che rappresenti il canone della disciplina stessa. Per ciascuna delle opere segnalate si è quindi proceduto ad accertare se fosse già disponibile in una versione elettronica ad accesso aperto e se la qualità della digitalizzazione fosse adeguata alle esigenze della consultazione e della ricerca.

Alla selettività si affiancano l’interdisciplinarietà e la multimedialità. Si tratta di due caratteristiche largamente diffuse nell’ambito delle biblioteche digitali, in particolare la seconda che si avvantaggia delle potenzialità offerte dalla convergenza al digitale. Nel caso della Beic queste caratteristiche sono state perseguite fin dalla progettazione della biblioteca fisica, nel senso che ci si è preoccupati di allestire una struttura bibliografica che venisse incontro alle esigenze di quei lettori (studenti, ricercatori, professionisti o cittadini impegnati in un’attività di tipo imprenditoriale) che avessero necessità ad accedere a documentazione di alta divulgazione o specialistica in ambiti diversi da quelli di appartenenza.

Un’altra caratteristica della Biblioteca digitale Beic è la qualità dei dati e delle riproduzioni digitali. Non potendo competere con altre realizzazioni a carattere nazionale o internazionale, la scelta di produrre dati di qualità si è resa necessaria per garantire una maggiore visibilità al progetto.

La cura riservata alla descrizione delle risorse non riguarda solo i libri antichi, ma anche le pubblicazioni più recenti, il materiale non librario, come quello musicale o iconografico, e le risorse elettroniche. La descrizione semantica delle pubblicazioni, estesa a tutte le tipologie di risorsa, consente poi l’attivazione di un maggior numero di percorsi di ricerca e la valorizzazione di collegamenti tra il materiale più antico, l’editoria contemporanea e le collezioni multimediali.

La ricerca della qualità si manifesta anche attraverso l’analiticità con la quale è descritta la struttura fisica e logica dei documenti e le loro singole componenti (il paratesto, i capitoli, i saggi di un’opera collettanea, gli articoli all’interno del fascicolo di un periodico, le tracce di una registrazione audio e così via).

Nella realizzazione della Biblioteca digitale Beic si sono sempre tenuti presenti gli standard nazionali e internazionali, nella prospettiva di rendere possibile la collaborazione con altre iniziative analoghe. Questo ha permesso a Europeana prima e a WorldCat poi di raccogliere senza fatica le registrazioni della Biblioteca digitale Beic all’interno dei loro cataloghi.

È opportuno ricordare, al proposito, la presenza all’interno della Biblioteca digitale Beic di un “Wikipediano in residence”, ossia di uno specialista che provvede a realizzare i collegamenti tra le pagine di Wikipedia e le risorse digitali della Beic quando questo comporti l’arricchimento di un lemma dell’Enciclopedia e la valorizzazione del patrimonio digitale Beic. La decisione di puntare su questa innovativa forma di collaborazione con un soggetto non bibliotecario (la Fondazione Beic è stata la prima a farlo in Italia) nasce da un lato dalla volontà di privilegiare un approccio orientato agli sviluppi del web semantico e dall’altro lato dalla valutazione della visibilità che può garantire al patrimonio digitale della Beic il rapporto con uno degli strumenti di ricerca più utilizzati e i cui dati ricorrono ai primi posti nei risultati dei motori di ricerca. Tra le iniziative di maggior successo c’è stata la messa a disposizione, attraverso Wikimedia Commons, di oltre 16.000 fotografie di Paolo Monti, il cui archivio è stato acquistato dalla Fondazione Beic e depositato presso il Civico archivio fotografico di Milano.

Il rapporto con Wikipedia permette di aggiungere un ulteriore tassello, l’ultimo, al quadro delle caratteristiche che nel loro insieme delineano la fisionomia della Biblioteca digitale Beic: la collaboratività, ossia il perseguimento di alleanze con istituzioni italiane e internazionali che siano depositarie di significativi patrimoni documentari, che abbiano messo liberamente a disposizione risorse di indiscutibile prestigio e valore scientifico e che siano attive nella promozione di standard e prodotti finalizzati alla circolazione universale della conoscenza.

Danilo Deana ha studiato filosofia presso l’Università degli Studi di Milano. Dopo la laurea ha diretto la Biblioteca di filosofia e successivamente è diventato responsabile prima dell’Ufficio risorse elettroniche e poi dell’Ufficio monitoraggio della Divisione coordinamento biblioteche della stessa Università. Ha fatto parte del Comitato tecnico del Servizio Bibliotecario Nazionale e attualmente collabora con il Gruppo interuniversitario per il monitoraggio dei sistemi bibliotecari di Ateneo (GIM). Per la Fondazione Biblioteca europea di informazione e cultura segue l’Archivio della Produzione Editoriale lombarda e la Biblioteca digitale. Ha pubblicato un volume sui Linguaggi di marcatura e fogli stile e numerosi articoli su periodici specializzati.

Strumenti e strategie per la condivisione e la valorizzazione dei patrimoni culturali ticinesi

Gli istituti culturali che operano sul territorio del Cantone Ticino hanno sviluppato nell’ultimo decennio una certa propensione all’adozione di nuovi modelli di gestione e canali di diffusione dei propri patrimoni culturali e scientifici.

Il 27 ottobre 2016 il Sistema per la valorizzazione del patrimonio culturale (SVPC) ha organizzato un incontro in cui sono state presentate le principali iniziative regionali in relazione al tema dell’informatica umanistica. Il seminario ha permesso di stilare un bilancio sommario del settore, rilevando strumenti e strategie adottate per la gestione, la diffusione e la valorizzazione dei patrimoni culturali. Complessivamente, sono stati presentati 13 progetti.

Gli strumenti e i programmi a disposizione degli istituti culturali sono diventati complessi, e oggi assistiamo a una polarizzazione tra istituti che gestiscono i fondi e le collezioni con strumenti amatoriali (come Excel o Filemaker) e organizzazioni che si appoggiano a soluzioni professionali, qualche volta sproporzionate rispetto alle esigenze reali e all’impiego effettivo. Quest’ultima categoria di strumenti, inoltre, richiede sempre più risorse e specializzazioni funzionali, fatto che induce gli istituti a creare reti cooperative. A titolo di esempio, per ottenere un semplice elenco di risultati sul portale culturale sàmara (http://samara.ti.ch), basato sul discovery&delivery Ex Libris Primo, è necessario realizzare processi complessi, che richiedono il contributo di numerose figure professionali.

Tuttavia l’approccio strategico è in generale ancora assente: manca una visione consolidata che consenta l’integrazione di processi, prodotti, metodi e servizi digitali con quelli analogici. Gli operatori culturali non sono sempre consapevoli che lo scopo principale della produzione e diffusione di metadati non è la valorizzazione del digitale. Si tratta semplicemente di un canale di fruizione che si affianca ai preesistenti (cartaceo, espositivo), aumentando sinergicamente la mediazione tra il pubblico e i patrimoni eterogenei dispersi negli istituti.

La digitalizzazione dei patrimoni culturali e scientifici è un processo da inserire in una visione strategica che sia integrata con il patrimonio fisico. Grazie alla normalizzazione dei processi di produzione e diffusione dei metadati, è possibile mettere in rete le fonti, creando nuove sinergie tra discipline e nuovi ponti tra contesti geografici amministrativamente separati.

Paola Costantini: Laureata in filosofia e italianistica all’Università di Friburgo con una tesi sull’opera di Guido Morselli, dal 1993 si occupa di conservazione e valorizzazione dei patrimoni. Ha collaborato a vari progetti nazionali e cantonali, tra cui Informazione politica promosso da Memoriav-Associazione per la salvaguardia della memoria audiovisiva svizzera presso la RSI, ed è stata redattrice per la Svizzera italiana di Handbuch der historische Buchbestände der Schweiz, coordinato dalla Zentralbibliothek di Zurigo. È stata collaboratrice scientifica presso la Biblioteca Salita dei Frati, l’Archivio storico della città di Lugano e la Biblioteca cantonale di Lugano. Nel 2013 ha partecipato al gruppo di lavoro che ha portato all’avvio del progetto sàmara – il patrimonio culturale del Cantone Ticino, di cui è capoprogetto. Dal 2014 è collaboratrice scientifica presso il Sistema per la valorizzazione del patrimonio culturale - SVPC del DECS.

Roland Hochstrasser: Laureato in geografia all'Università di Losanna nel 2002, nel 2004 ha conseguito il master of advanced studies (MAS) in Sviluppo urbano sostenibile, gestione delle risorse e gouvernance presso l’Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica (IDHEAP). Dal 1996 collabora con diverse organizzazioni, occupandosi in particolare della pianificazione e gestione di progetti legati allo sviluppo del territorio, alla cultura e alle tecnologie dell’informazione. Dal 2005 è collaboratore scientifico presso il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport (DECS) del Cantone Ticino. Nel 2013 è stato tra i promotori di un nuovo progetto di valorizzazione del ricco patrimonio culturale e scientifico regionale. L’iniziativa, denominata sàmara – il patrimonio culturale del Cantone Ticino, rappresenta un nuovo e importante passo verso la messa in rete istituzionale di archivi, biblioteche e musei attivi nella Svizzera italiana. Dal 2014 è collaboratore scientifico presso il Sistema per la valorizzazione del patrimonio culturale - SVPC del DECS.

Venerdì 18 novembre 2016

Aula magna dell’Università della Svizzera Italiana, Lugano