Centro di dialettologia e di etnografia - page 25

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DeNeDAA
DeNeDAA
indidíprecedéntargrandfestón
, quando lucci-
cavano i ceppi del focolare, i poveri vecchi raccon-
tavanostoriedi casi edisgrazie capitatinei giorni
precedenti la grande festa (Fescoggia [109]). In
questo contesto potevano svolgersi anche intrat-
tenimenti piacevoli, come nel basso Onsernone
dove alla sera della vigilia in alcune famiglie si
usavagiocareal
sciücch
: «un ragazzoodungiovi-
notto, non importa, s’inginocchia sul pavimento
curvandosi inavanti finoadabbassare il capo, or
bendato or no, sulle ginocchia d’una persona
adultao..., preferibilmente, diunaragazzachesta
seduta, posciamette lamanodestrasullaschiena
colpalmodellastessarivolto insu. Ipresenti, vec-
chi e giovani, per turno, battono più omeno lie-
vemente sul palmo di quella mano e l’individuo
che fadabersagliovoltapervoltadeve indovinare
chi ha percosso. Succede così talvolta che il mal-
capitatononha la fortunadell’indovinio, cosicché
deve rimanere in quella stranaposizione per pa-
recchio tempo, suscitando le risate dell’allegra
brigata» [110].
Nel Malcantone il ciocco diventava elemento
centralenelle richieste di fidanzamento, esplici-
tate conun rituale che consistevanel percuoter-
lo,
battursciücch
. L’aspirante fidanzato doveva
intalcasorecarsi laseradiS.Stefano incasadel-
lagiovaneconcui intendevasposarsi, sedersiac-
cantoal focolareepercuotere il ciocco treoquat-
tro volte con le molle; se la ragazza accettava,
battevaasuavolta ilceppocon lestessemolle.La
promessavenivaquindi sancitadal consensodei
genitoridellaragazza [111].
Recenteepienamente inseritanell’ampioe in-
vasivoprocessodi commercializzazionedi alcuni
aspettidellatradizionepopolareèlastilizzazione
del ceppo con la sua trasformazione in proposta
dolciariasotto formadi«troncodiNatale»:prove-
nientedall’area francofona, la
bûchedeNoël
, an-
cora circoscritta fino ai primi decenni del Nove-
cento alle regioni più occidentali della Svizzera
dove era comunque ritenutadi recente adozione
[112],siènelfrattempoampiamenteestesa,com-
parendo ormai puntualmente sugli scaffali delle
pasticcerieedeigrandimagazzini.
1.9.2. Falò all’aperto
«AdAstano, lavigiliadiNatale, i ragazzi rive-
stonodi paglia edi ginepri unaltopalo e lo rizza-
no almargine della strada, circa ametà percorso
tra la chiesa e l’abitato. Fanno poi la guardiaal
palone rivestito, onde a nessunmalintenzionato
passiper lamentediappiccarvi il fuocoprimadel
tempo giusto. Vegliano, riscaldandosi attorno ad
un ciocco, forse l’unico ciocco di Natale che arda
all’aperto» [113]; inCapriasca i ragazzi correva-
noper levie chiedendoagranvoce la legnaper il
falòeottenendopezzidi legno, vecchiecasse, tru-
cioli, pacchi di giornali [114]; aMelide si ammas-
savano per lo scopo fusti secchi di granoturco
[115]; aBrusinoArsizio si riunivanomateriali di
vario tipo, fascine di sarmenti della vite, ceste
rotte ealtre cianfrusaglie combustibili, tenute in
serbo durante tutto l’anno per tale scopo; inVal
Faloppia nelle domeniche di dicembre i ragazzi
andavanoa raccogliere fasci di gineproper il fuo-
conatalizio [116].
L’usanza è oggi da tempo scomparsa, ma in
passato era conosciuta anche a Locarno, dove il
falò era allestito sui monti vicini, e adArogno e
Rovio, dove il fuoco veniva acceso prima della
messadimezzanotte [117].Di regolaperò losi fa-
ceva subito dopo, con la partecipazione corale
dellagentedel paese:
dòpolaméssaandavomgió
insématüccinpiazzaarimirálfalò
, dopo la
messaandavamo tutti assieme inpiazzaa rimi-
rare il falò (Melide [118]). ASoazza l’uso di fare
una
camana
, fuocodi gioiaperNatale, fuabolito
giànel 1761per decisionedellaVicinanza [119].
Seperalcuni studiosi il fuocoaveva lo scopodi
rinvigorire simbolicamente il sole all’inizio della
sua faseascendenteeperaltri rappresentavaun
rito di purificazione [120], nella concezione della
gente comune i falò venivanomotivati, più sem-
plicementee ingenuamente, comegiàvisto con il
ceppo e come si vedrà con il ginepro, con la ne-
cessitàdi riscaldareGesùodipermettereallaMa-
donna di fare asciugare le sue fasce:
mezanòcc,
sónaiór,ènassüüulRedentórechíafémtanti
falòf∑diüscparsügáisòpat®sc
, mezzanotte,
suonano leore, ènato ilRedentoreequi facciamo
fuori dagli usci tanti falò per asciugare i suoi
pannolini (BrusinoArsizio [121]).
L’imponenza e lamagnificenza di questema-
nifestazioni deve aver colpito l’immaginario po-
polare che ne conserva una traccia nella deno-
minazione
föghdaNatál
, con laquale si designa
un falò grande, ottenuto conunanotevole quan-
titàdi legna.
1.9.3. Rametti di sempreverde e altre piante
1.9.3.1. Alloro e agrifoglio
AlametádalmésanavumláaSan◊énarobá
llòiruaquiidaLamónn,parchèlál’èna√òna
chegh’ètantulòiru,dòpuanavumadagalindi
cáeciapavumdésghéiparramétt,tantdavégh
unquéifranch
, ametàmese andavamo là a S.
Zenoa rubare l’alloroaquelli diLamone, perché
là èuna zonadove c’è tantoalloro; dopoandava-
mo a distribuirlo nelle case e prendevamo dieci
centesimi per rametto, così da avere un qualche
franco (circ. Vezia). La testimonianza conferma
la pratica molto diffusa in passato di ornare le
case e in particolare le cucine con rametti di
1...,15,16,17,18,19,20,21,22,23,24 26,27,28,29,30,31,32,33,34,35,...68
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