Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana Fascicolo 101 farina – Federico Centro di dialettologia e di etnografia Bellinzona 2022

Centro di dialettologia e di etnografia viale Stefano Franscini 30a CH–6500 Bellinzona telefono +41 91 814 14 50 fax +41 91 814 14 59 e-mail decs-cde@ti.ch Direzione Paolo Ostinelli Coordinamento Dario Petrini Redazione Nicola Arigoni Martina Bonetti Giovanna Ceccarelli Johannes Galfetti Dafne Genasci Monica Gianettoni Grassi Antea Mattei Michele Moretti Dario Petrini Laura Sofia Pubblicato a cura della Repubblica e Cantone Ticino con il sostegno finanziario dell’Accademia svizzera di scienze umane e sociali In copertina Mendrisio, anni 1925-1933: un operaio esamina i sacchi di farina all’interno del magazzino di un pastificio (ASTi, Fondo fotografico Ufficio cantonale per le proiezioni luminose). Prestampa Taiana Stampa Tipografia Pedrazzini Fr. 19.–

FARINA 321 FARINA farina di Onsernone [6]. Una farina preparata in modo simile era conosciuta pure nella vicina Vallemaggia e in alcune località del Locarnese [7] con le denominazioni di farina da cá, farina di casa (circ. Maggia), … lénta, lenta (Verscio, Brione s. Minusio), …rostida, arrostita (Verscio, Brione s.Minusio; a Sonogno anche ottenuta dalla segale), … scaldada, scaldata (Moghegno). 1.2. Nell’economia semiautarchica del passato, si consegnava al mugnaio il proprio raccolto cerealicolo, di castagne o di altri prodotti, affinché fosse macinato e trasformato in farina: ann duvǘ nè a t sgiǘ la paia dla rasèna e bòtt ala svèlta, da pudé purtè l gran al murín, ch’i éan piǘ farina da fè pan, hanno dovuto andare a togliere la paglia dalla rascanae proprio alla svelta, per poter portare il grano al mulino, perché non avevano più farina per fare pane (Quinto [8]), ul murnée … al passava na vólta ala setimana, a t sǘ ul sachétt dal carlún da masná e a lassá lí la farina e la crüsca, il mugnaio passava una volta alla settimana a ritirare il sacco del granoturco da macinare e depositava la farina e la crusca (Stabio [9]); per questa sua prestazione riceveva una molenda: ol morinèi i l pa- áamaari cor ümtant ad farina, il mugnaio lo pagavano magari con un certo quantitativo di farina (Biasca [10]). V.  molín, molinée. Solitamente per il trasporto di farina si utilizzavano dei sacchi: a m rogòrd cand o rüvava dént ol Gidi giǘ a Sélme col car a dü cavall pcén de sacch da móggio de farini da pan, mi ricordo quando arrivava l’Egidio giù a Selma col carro a due cavalli pieno di sacchi da un quintale di farina da pane (Landarenca). Per ovviare al problema del deterioramento la farina era prodotta o acquistata in piccole quantità; oltre a ciò veniva conservata in un’apposita madia (v.  arca, cassón) e pressata di tanto in tanto per scongiurare la proliferazione di insetti al suo interno [11]. Nonostante questi accorgimenti, spesso vi si sviluppavano i camor di farinn, le tarme delle farine (TorricellaTaverne): re farina la fa l berái, la farina fa le fila (Rivera [12]), prima da fá la pulénta, cribia la farina, che gh’é dént quai cámulen, prima di preparare la polenta, setaccia la farina, che ci sono dentro alcune larve (Mesocco [13]). 1.3. Rilevante è stato il ruolo delle farine nelle abitudini alimentari della popolazione della Svizzera italiana, sia nella preparazione di vari tipi di pane, sia in quella di svariate altre pietanze. La panificazione avveniva solitamente fra le mura domestiche o, in mancanza di un apposito forno, era affidata a panettieri di professione, ai quali si consegnava un determinato quantitativo di farina da trasformare in pane, oppure le micche d’impasto già confezionate per la sola cottura (v.  pan): cun tüta la farina da carlún masnada dal murnée, i évan sémpru na mòta, dai trénta ai quaranta che l prestinée al cöséva cu n’infurnada sóla, con tutta la farina di mais macinata dal mugnaio, erano sempre un mucchio, dalle trenta alle quaranta [pagnotte] che il panettiere cuoceva in una sola infornata (Mendrisio [14]). In base alla finezza della farina utilizzata si ottenevano tipi di pane di qualità diversa: i nòss cuntadín i fann fò dala ségal dúa sòrt da farina; cula farina i fann al pan da cá, cula farina segónda, ca ga disum farinòtt, fann un pan nér ca ga disum panòtt. I pòr diáuri i mangian anca l panòtt, ma issa i üsan a ga l dá al bestiám, i nostri contadini ricavano dalla segale due tipi di farina; con la farina [di prima qualità] fanno il pane casereccio, con la farina di seconda [qualità], che chiamiamo farinòtt, fanno un pane nero che chiamiamo panòtt. I poveri diavoli mangiano anche il panòtt, ma oggigiorno usano darlo al bestiame (Brusio). Tra le pietanze a base di farina (spesso addizionata ad altri ingredienti complementari) spiccano le polente e le farinate: pulénta da farina vérda, polenta di farina di granoturco (Vergeletto), Fig. 52. Mugnaio che trasporta sacchi di farina con un asino, ca. 1925 (ASTi, Fondo fotografico Ufficio cantonale per le proiezioni luminose).

322 FARINA FARINA pólt da farina dólcia, polenta di farina di castagne (Cavigliano), ala sira l’è un piatt da minèstra: quand ch’i la fèva da verdura con dént ana farina, alóra i la ciamèva bòba, alla sera c’era un piatto di minestra: quando la facevano con la verdura e con anche farina, allora la chiamavano bòba(Losone [15]), bóia da farina, zuppa di farina, talvolta addolcita con zucchero (Bondo), bröd farina, sorta di pappa a base di farina bianca arrostita e spenta nell’acqua o nel brodo (Malvaglia), farina e zücch, minestra fatta di farina cotta nell’acqua con zucche e fagioli (Rovio). La farina di castagne, in tempo di guerra, serviva anche a preparare un surrogato del cioccolato, v.  cicolatt. 1.4. Farina e macinati diversi erano largamente utilizzati nell’alimentazione degli animali, in particolare del maiale o di quelli da cortile: per fá bév in bianch i cavái a s dòpra farina da ségra, per preparare il beverone bianco ai cavalli si usa farina di segale (Solduno); dòpo, quan ch’u vegnéa sgiǘ d l’èlp, u i éa póm e farina, farina d furmantón, chèla l’éva l méi ded tücc, poi, quando [il maiale] scendeva dall’alpeggio, c’erano patate e farina, farina di granoturco, quella era il meglio di tutti [gli alimenti] (Airolo [16]), varda l porscéll, ... cóm la l trata de sciór: trè vòl al dí menèstra, lazzerón, bóna coróbia con dént tanta farina, guarda il maiale, come lo tratta da signore: tre volte al giornominestra, siero, un buon beverone con dentro tanta farina (Lumino [17]); a Olivone, invece, si ingrassava il maiale con un pastone di farina d’édra, farina di sorbe; quan ch’i alözz i éra bèi sè, i sa sgranèva par fè farina da dègh ai alégn, quando le pannocchie di granoturco erano belle secche, si sgranavano per fare farina da dare alle galline (Ludiano). – Lo Schinz informa che, nel Settecento, quando la primavera tardava ad arrivare, gli apicoltori ticinesi usavano preparare una miscela di acqua, miele e farina di castagne per nutrire le loro api [18]. 1.5. Dalle testimonianze dei corrispondenti del VSI emergono ulteriori notizie riguardo a impieghi particolari dei vari tipi di farina. 1.5.1. I metéva i év in d’om scaff pién de gran e de farina per tigníi frèsch, mettevano le uova in un cassetto pieno di grano e di farina per tenerle fresche (Roveredo Grig. [19]); baslött, padèli e padelín da ram ..., mía żía Lucía ... la sgéa al büi a i lüstrá con farina sgialda e aséid e sal, scodelle, padelle e pentolini di rame, mia zia Lucia andava alla fontana a lucidarli con farina gialla e aceto e sale (Poschiavo); la còla la favan sǘ cula farina bianca e na quai góta d’aqua, la colla la facevano con la farina bianca e qualche goccia d’acqua (Mendrisio [20]), cfr.  cadassa, còla1. A Locarno si usava mettere un poco di farina come esca nella trappola per i topi. 1.5.2. Applicazioni di impacchi di farina di segale sono documentate a Monteggio e similmente a Coldrerio, dove si usava aggiungere pure una moneta al cataplasma, quale rimedio contro le irritazioni cutanee; a Brissago, ai bambini affetti da convulsioni si ponevano sotto le piante dei piedi impiastri di farina di segale, fuliggine, aceto e aglio, bolliti per qualche minuto; nella stessa località si usava ammollare sacchetti contenenti farina di granoturco o zolfo che venivano applicati per ammorbidire la pelle o curarne le screpolature; a Mergoscia, per lenire i dolori reumatici si ricorreva ai bagn de farina, impacchi di farina; a Losone, per combattere l’affezione orale che colpiva le vacche (v.  barbèla), si utilizzava un intruglio a base di farina di segale, che veniva sfregato all’interno della loro bocca con l’ausilio di uno strofinaccio. 1.5.3. In virtù delle sue numerose proprietà curative (emollienti, diuretiche, antitussive [21]) era molto apprezzata dalla medicina popolare la farina di lino, farina d smint lign(Someo) o … da linósa (Verscio), utilizzata principalmente nella preparazione di cataplasmi: métt lá sul fégh el padelín con un pò d’acu e una branchéta de farina de lin, … bútela fòra su una pèzza de téila …, métela sú bègn calda sul pòst indó gh’é l má, metti sul fuoco il pentolino con un po’ d’acqua e una manciatina di farina di lino, versala su un panno di tela, mettila ben calda dove hai male (Mesocco [22]), ra polentina da farina da linusa la sa gh métt sǘ sura ar bügnón par fall isbotaa, la polentina di farina di lino si mette sul foruncolo per farlo suppurare (Comano). Con l’abbandono della coltivazione della pianta nella Svizzera italiana la linosa, pure molto apprezzata quale ricostituente per il bestiame, veniva acquistata nelle farmacie [23]. 1.6. La produzione cerealicola locale era spesso insufficiente per coprire il fabbisogno alimentare delle famiglie della Svizzera italiana [24]. Per questa ragione, non di rado esse erano costrette ad acquistare farine di importazione, magari barattandole con derrate quali le castagne o i prodotti della macellazione casalinga: u i éa l murín a Altèna: purtáum int lè nüi la séira. Però u capitáa ch’u n manava, i n’éum mía asbacch: cume nüi, ch’i séum p na pía, tucáa nè amò a tönn a Quint, ded farina, c’era il mulino ad Altanca: noi portavamo là la segale. Però capitava che ne mancasse, non era sufficiente: come nel caso nostro, che eravamo poi in molti, ci toccava scendere ancora [dalla frazione di Ronco] a comprare farina a Quinto (Quinto [25]); i baratèva col massèe castégn sè in cambi da farina da carlón par la polénta, barattavano con il mezzadro castagne secche in cambio di farina di mais per la polenta (Maggia),

323 FARINA FARINA i parsütt i vendéum par crumpè la farina da fè pulénta e la farina da fè pan, i prosciutti li vendevamo per comperare la farina per fare polenta e la farina per fare pane (Quinto [26]). Emblematicamente il colore della farina rappresentava, fino al xIx secolo almeno, un divario sociale più o meno marcato: la farina bianca (di frumento) era destinata quasi esclusivamente ai benestanti, mentre le farine colorate e scure (mais, segale, grano saraceno) erano in maggioranza consumate dai ceti meno abbienti. Nelle fasce più basse della popolazione, il consumo di farina bianca era eccezionalmente concesso ai malati e alle puerpere, le quali potevano ricevere come parte di un dono rituale farina o pane bianco [27]. 2. Altri significati 2.1. Polvere, materia sminuzzata finemente: farina da marmu, polvere di marmo (Pedrinate), farina d’òss, farina di ossa (Soglio), zücar in farina, zucchero a velo (Peccia), farina de fégn, semenza, fiorume del fieno (Mergoscia); cfr. al par. 4.2. 2.2. Cipria (Bellinzona, Grancia, Stabio): netass dala farina, togliersi la cipria (Stabio); cfr. al par. 4.3. 2.3. Neve farinosa, nevischio (Osco, Cavergno, Brissago): farina de név, polvere di neve (Brissago). 2.4. Pruina che riveste gli acini d’uva e le susine (S. Antonino, Arbedo-Castione, Losone, Lug., Campocologno): varda cum’i gh’a sǘ ra farina, qui brügn, guarda come sono coperte di pruina, quelle susine (Grancia). 2.5. A Sonvico e a Grancia, oidio, crittogama della vite: uga dara farina, uva colpita dall’oidio (Sonvico). 3. Paragoni L’è fina comè farina, è fine come farina: di sostanza finissima (Villa Lug.); – la végn gió che la par farina, viene giù che sembra farina: di nevischio (Rovio), néu cóme farina de forménte, neve come farina di frumento: spazzata, portata dal vento (Cimadera); – sücc cumè farina, asciutto come farina: di frutto senza succo (Brione s. Minusio). 4. Locuzioni, modi di dire 4.1. Farina calda, farina calda: appena macinata (Brione s. Minusio); – harini chérte, farina corta (Gorduno), farina gialda, farina gialla (generalm.), … lénta, lenta (Auressio, Loco), … da polénta, da polenta (generalm.), … vérda, verde (Vergeletto): di granoturco; – faréna négra, farina nera (Mendrisio), farina scüra, farina scura (Stabio): di grano saraceno; – farina da pagn, farina da pane: di segale (Brione s. Minusio); – farina bianca, farina bianca (generalm.), harini lungu, farina lunga (Gorduno): di frumento; – farina de géss, farina di gesso: di qualità scadente, che dà pane indigesto (Mesocco). 4.2. Andá in farina, andare in farina, disfarsi e ridursi in polvere (generalm.): póm bói che vann tutt e farini, patate buone che si sfarinano (Chironico); casciá tutt in farina, ridurre tutto in frantumi (Carasso); desfass in farina, sfarinarsi, spappolarsi: delle patate (Indemini). – Balá sula farina, ballare sulla farina (Grono), … sul sacch dela farina, sul sacco della farina (Soazza): godersela, spassarsela, non darsi pensiero. – A Brione s. Minusio, bucunán farina, mangiucchiare farina: stringere in maniera forzata le labbra per reprimere una risata. – A Soazza, butá farina in gl’écc, buttare farina negli occhi: sviare, ingannare. – Cataa coi man in dra farina, cogliere con le mani nella farina: in flagrante (Camignolo). –Dá póca farina e tanta crüsca, dare poca farina e tanta crusca: fare molte chiacchiere e promesse, ma essere poco concreto nei fatti (Grancia). –Miga fá farina, non fare farina, essere vano, inutile, improduttivo (generalm.): i ciaciar i fa mía la farina, le chiacchiere non fanno la farina: sono inutili, non sostituiscono le azioni (Verscio); – a S. Antonio, fá farina falza, fare farina falsa: usare l’astuzia, l’inganno; – a Cavigliano, mía faa farina inséma, non fare farina insieme: non andare d’accordo. – A Montecarasso, t’é inmò inscí de maiann de sacch de farina!, devi ancora così mangiarne di sacchi di farina!: devi ancora crescere e imparare molto. – A Gerra Gamb., riüscii méi a pèn ca in farine, riuscire meglio come pane che come farina: migliorare con l’età adulta. – A Sonogno, le ròba er farina ai söi, ruba la farina ai suoi: comincia a sviluppare il seno, sta per raggiungere la pubertà, di fanciulla. – A Brione s. Minusio, nan a tòn farina, andare a prendere farina: studiare, istruirsi, informarsi, vègh mía assée farina, non avere abbastanza farina: non essere abbastanza istruito o informato. – Véss püssée crüsca che farina, essere più crusca che farina: più apparenza che sostanza (Lug.). – A Poschiavo, miga véss farina da fá òsti, non essere farina per fare ostie: essere un delinquente, un cattivo soggetto, avere un carattere difficile. – Véss farina sóa, essere farina propria: di cosa pensata o prodotta personalmente, di cui si è esperti (generalm.); l’é farini d’èltri, è farina d’altri (Chironico); l’é mía farina du tö murín, non è farina del tuo mulino (Osco), … dal tò sacch, del tuo sacco (generalm.): non è una tua idea; oppure: non è opera tua. 4.3. O gh’è iínt tröpp farina, c’è dentro troppa farina: detto scherzosamente da chi disdegna il

324 FARINA FARINA pane scusso (Leontica). – Al par che l’abia mütǘ dént al cò in dal sacch dala farina, sembra che abbia messo la testa nel sacco della farina: di chi ha i capelli bianchi (Rovio). – L’a metǘ la facia in la farina, ha messo la faccia nella farina: è tutta incipriata (Bellinzona). – Pala farina ’i fann, i podarönn èna sampè da par ló, per la farina che fanno [= visto il risultato, siccome non vanno d’accordo], potrebbero anche vivere da soli: separarsi (Airolo [28]). – Basta, cu l’aqua e la farina sa fa la pasta, basta, con l’acqua e la farina si fa l’impasto: motto con cui si pone fine a un discorso o a una riflessione (Poschiavo [29]). – Pagn da rind e farina da imprestaa, pane da rendere e farina da prestare: per ricordarsi una restituzione (Verscio). 5. Proverbi, sentenze, formule 5.1. Par santa Caterina prepara ul sacch dala farina, per S. Caterina (25 novembre) prepara il sacco della farina: occorre fare scorte alimentari in vista dell’inverno (Stabio [30]); – santa Caterina la végn cul sachètt dra farina, S. Caterina viene col sacchetto della farina: per S. Caterina si aspettano le prime nevicate (Aquila); – fiòca novembrina la fa mangiá l sacch dala farina, la neve di novembre fa mangiare il sacco della farina: fa esaurire velocemente le provviste per l’inverno (Rovio). 5.2. I sa cuméncia in scima ala tina a cumpesaa la farina, si comincia dalla sommità del tino a risparmiare la farina: le economie van fatte fin dal principio (Camorino). – Quand ti gh’è la farina ti fé i salt, e quand ti gh l’è mía ti i fé pisséi alt, quando hai la farina fai i salti, e quando non ce l’hai li fai ancora più alti: perché bisogna industriarsi per non patire la fame (Verscio). – Pèn d’on dí, farine d’on més e vin d’on ènn, pane di un giorno, farina di un mese e vino di un anno: le stagionature ideali (Gerra Gamb.). 5.3. Cola farina u s fa ul pan, coi basgitt u s ciapa i matán, con la farina si fa il pane, con i baci si conquistano le ragazze (S. Domenica); – cula farina se fa i gnòcch, cui giuvinòtt se fa l’amúr, con la farina si fanno gli gnocchi, con i giovanotti si fa l’amore (S. Antonio), cfr., fuori della Svizzera italiana, cola farina a s fa ra pasta, cora Pepina a s fa r’amór, con la farina si fa la pasta, con la Peppina si fa l’amore (Marchirolo). 5.4. El gran bón al da farina bóna, il grano buono dà farina buona: la materia prima buona darà un prodotto di pari qualità (Cimadera); – cora farina a s fa ra pasta, con la farina si fa la pasta: con i giusti mezzi si ottengono i prodotti (Cimadera); – sénza farina nu sa pò fá pan, senza farina non si può fare pane: senza la materia prima non si può fare nulla (Rovio); – d’un sacch de crüsca i ne pò mía sortí farina, da un sacco di crusca non può uscire farina: è impossibile chiedere a una persona di fare cose al di fuori delle sue possibilità (Indemini); – re farina du diavul la va a finii in crüsca, la farina del diavolo finisce in crusca: ciò che viene ottenuto con mezzi disonesti non procura vantaggi duraturi (Rivera). 5.5. Sóma üna mòla nu fa farina, una sola macina non fa farina: la colpa è di entrambi i litiganti (Castasegna [31]). –L’è facil fá ul pan cun la farina di altri, è facile fare il pane con la farina degli altri: fare gli spavaldi senza mettersi direttamente in gioco (Morbio Sup.). –Ògni muliné vanta la só farina, ogni mugnaio vanta la propria farina (Grono). – Se tí ta gh’é farina da vénd, mí gh’ò l sacch da métala dént, se tu hai farina da vendere io ho il sacco dove metterla: si dice scherzosamente a chi si vanta di possedere molto (Rovio). 5.6. Farina dlu sö grègn la v üra fürt e sègn!, la farina del proprio grano mantiene forti e sani! (Cavergno). 6. Filastrocche, canzonette, ninnenanne, tiritere 6.1. Catalina morasina, pòrta ol sacch dala farina, la farina l’é mía mesnèda, Catalina mascarèda, Caterina tenerina, porta il sacco della farina, la farina non è macinata, Caterina imbellettata di farina (Dalpe). – Fiòca fiòca da sgianèe, sénza sòld, … sénza il sacch dala farina, chèla fémna puvrina, la riva mía ala matina, par mangiaa un pò da farina, nevica nevica a gennaio, senza soldi, senza il sacco della farina, quella donna poverina, non arriva alla mattina, per mangiare un po’ di farina (Verscio). – Súa súa cavalina, pòca ségal e mén farina, súa súa cavalé, pòca ségal e mén dané, salta salta cavallina, poca segale e [ancora] meno farina, salta salta cavaliere, poca segale e [ancora] meno soldi: filastrocca recitata mentre si fanno saltellare i bambini sulle ginocchia (Brusio [32]). – Vün, dǘ, pina, al murín se va a t farina, farém turtéi, farém laságn, per fá stá alégri i nòst tusann, uno, due, pina, al mulino si va a prender farina, faremo tortelli, faremo lasagne, per far stare allegre le nostre ragazze (S. Antonio). – In una diffusa filastrocca che insegna il lungo processo per ottenere il pane: la sciguéta la m’a rubaa la mía baréta, la ma da mía la mía baréta so no che ga du ul pan, vu in dal prestinée par fass dá ul pan, al ma da mía ul pan so no che ga du la farina, vu in dal murnée par fass dá la farina, al ma da mía la farina so no che ga du ul gran, la civetta mi ha rubato la mia berretta, non mi dà la mia berretta se non le do il pane, vado dal panettiere per farmi dare il pane, non mi dà il pane se non gli do la farina, vado dal mugnaio a farmi dare la farina, non mi dà la farina se non gli porto il grano (Mendrisio).

325 FARINA FARINA 6.2. Cara la mía Gigiòta, stassira no sa scéna, polénta no sa ména, farina no ga n’è, cara la mia Gigiotta, stasera non si cena, polenta non si mescola, farina non ce n’è: strofa di una canzonetta (Rovio). 6.3. In una ninnananna: fa la nana, popín de cuna, che la tò mama l’a ciapóu la luna, e l tò pá l’é nacc al molín a té la farina da fá la bóia al popín, fa’ la nanna, bambino di culla, che la tua mamma ha preso la luna [= è di malumore], e il tuo papà è andato al mulino a prendere la farina per fare la pappa al bambino (Soazza). 6.4. In una tiritera per far desistere i bambini che chiedono con insistenza di raccontar loro una storia: gh’èra una vòlta un rè e una regina che i voléva fá la polentina, ma i gh’ava miga la farina, gh’ò da dila o gh’ò da cuntèla?, c’erano una volta un re e una regina che volevano fare la polentina, ma non avevano la farina, devo dirla o raccontarla? (Mesocco [33]). 7. Credenze, usanze 7.1. In Val Poschiavo si riteneva che il consumo di farina di grano saraceno favorisse il sonno [34]. – A Mesocco, la notte di Ognissanti, si preparava della farina arrostita ai morti, che sarebbero scesi dal camino per mangiarla [35]. 7.2. AMendrisio, quando veniva somministrata al moribondo l’estrema unzione era usanza preparare un piatto contenente farina gialla che il sacerdote usava, a cerimonia ultimata, per pulirsi le dita unte di olio santo. 8. Onomastica 8.1. Antroponimi: ul Cónte Farina, soprannome del proprietario dei mulini di Viganello (Lugano, circ. Pregassona [36]), Farina, soprannome individuale (Malvaglia, Astano [37]). 8.2. Toponimi: Farina, masso calcareo sul passo del Lucomagno (Olivone), ra Farina, masso calcareo fra l’alpe di Pozzo e la capanna Quarnei, dal quale i ragazzi estraevano della polvere di calce fingendo per gioco che fosse farina (Malvaglia), la Farina biéna, zona di dolomia molto friabile (Airolo); Farina, bosco, Téns del crös e farina, bosco protetto (Poschiavo); Pian farina, pianoro in prossimità del paese (Corzoneso); qui forse anche, in forma derivata: Vall farinèla, valletta con corso d’acqua (Someo), al Farinéd, luogo impervio e insidioso in prossimità dell’alpe di Simidi (Cresciano) [38]. Fig. 53. Mendrisio, anni 1925-1933: un operaio esamina i sacchi di farina all’interno del magazzino di un pastificio (ASTi, Fondo fotografico Ufficio cantonale per le proiezioni luminose).

326 FARINA FARINA 9. Derivati farín nella locuz.s. lacc –, pappa a base di latte e farina (circ. Giornico). farinada (Magadino, Lug.), ferinada (Biasca) s.f. Farinata, vivanda a base di farina tostata e cotta nell’acqua. farinásc s.m. 1. Farinaccio, farina grossolana, di qualità scadente (Lavertezzo). – 2. Pastone per i maiali a base di farina di vinacce e castagne (Moghegno). farinèi s.m. Produttore e venditore di farina (Ludiano [39]). farinèla (Carasso, Bellinzona, Biasca, Pollegio, BrioneVerz., Lug.), farinéla(Ludiano, Dalpe,Mergoscia), farinèle (Montecarasso), ferinèla(Biasca) s.f. 1. Farina grossolana, di qualità scadente (Dalpe). – 2. Polenta troppo dura e mal cotta a causa di un eccessivo dosaggio di farina (Mergoscia). – 3. Nella locuz.agg. in–, farinoso, asciutto: di frutto (Brione Verz.). – 4. Pruina che riveste gli acini d’uva e le susine (Lug.). – 5. Varietà di uva a grappoli lunghi e dagli acini piccoli, fitti e pruinosi (Montecarasso, Carasso, Bellinzona). – 6. Farinello comune, atriplice e altre specie affini del genereChenopodio (Biasca, Ludiano, Pollegio). farinéll1 (Lavizz., circ. Maggia, Loc.), fariniéll (Ons.), sfarinéll (Cavergno) agg. 1. Farinoso, asciut - to, friabile, che si disfa facilmente: specialmente di patate, ortaggi, frutti o polenta. – 2. Che produce molta farina (circ. Maggia, S. Abbondio). 1. Entra inoltre nella locuz.s. züca farinèla, varietà di zucca bianca (Auressio, Caviano). farinéll2 s.m. Falco (Lodrino [40], Bondo). farinèll (Agno, Pedrinate, Poschiavo), farinéll (Camorino, Gnosca, Lumino, Lev., Gerra Gamb., Vairano, Rivera, Roveredo Grig., circ. Mesocco), farinill (Olivone) s.m. 1. Farina grossolana, di terzo velo (Pedrinate, Poschiavo). – 2. Spolvero di farina (Dalpe). – 3. Grumo di farina (Lumino, Gerra Gamb., Agno). – 4. Farinello comune, atriplice e altre specie affini del genere Chenopodio (Gnosca, Olivone, Lev., Vairano, Rivera, Roveredo Grig., circ. Mesocco, Poschiavo). – 5. Spinacio selvatico, chenopodio Buon Enrico (Camorino, Personico). – 6. Arbusto e bacca del biancospino (Lumino, Roveredo Grig.). farinént (Leontica, Lev., Vairano, Lug., Roveredo Grig., Breg.), infarinént (S. Antonio, Gudo, circ. Taverne, Arosio, Lamone), infarinénte (VColla), infariníent (Isone) agg. 1. Farinoso, asciutto, friabile, che si disfa facilmente: specialmente di patate, ortaggi, frutti o polenta. – 2. Che produce molta farina. farinéta, farinèta; farinéte (Bironico), farinète (Gerra Gamb.), ferinèta (Biasca), harinète (Gorduno) s.f. 1. Cruschello, tritello, farina grossolana di secondo o terzo velo. – 2. Farina di granoturco usata per preparare polentine (Meride). – 3. Spolvero di farina (Mosogno). – 4. Becchime (Lavertezzo). – 5. Pruina che riveste gli acini d’uva (Pianezzo, Croglio, Pregassona). farinétt s.m. Fior di farina (Ligornetto). farinò (Osco), farinóu(Mergoscia), infarinò(Montecarasso) agg. Farinoso, asciutto, friabile, che si disfa facilmente: specialmente di patate, ortaggi, frutti o polenta. farinón s.m. 1. Tritello, farina grossolana, di qualità scadente, contenente crusca (Indemini). – 2. Oidio, crittogama della vite (Pianezzo). farinós, farinús; farinóus (Bodio, Giornico), ferinós (Biasca), harinús (Gorduno) agg. 1. Farinoso, asciutto, friabile, che si disfa facilmente: specialmente di patate, ortaggi, frutti o polenta; – polveroso: di terra (Osco). – 2. Che produce molta farina. farinòta s.f. Farina grossolana, di terzo velo (SopraP.). farinòtt s.m. Tritello, farina grossolana, di qualità scadente, usata per preparare pane da foraggio (Posch.). sfariná, sfarinaa; desfariná (Cimadera), insfarinè (Mesocco), sfarinè (Giornico), sfarinèe (Lodrino) v. 1. Sfarinare, ridurre in farina, in polvere. – 2. Sciogliere i grumi di farina (Grono). V. inoltre  infariná 10. Composti farinarsa(SopraP., Posch.), fararsa(Poschiavo), farinarza (Stampa, Vicosoprano), farinèrza (SottoP.) s.f. Farinata. In Val Poschiavo la vivanda veniva talvolta consumata a colazione: sicóme l’é n’anada scarsa, a culizzión l’é farinarsa, siccome è un’annata scarsa, a colazione c’è farinata [41]. – Qui anche il sintagma bròda da farinarsa, minestra di farina abbrustolita nel burro e bollita nel brodo o nell’acqua (SopraP. [42]). – Entra nell’incipit di una filastrocca: fait fararsa, pitt brüsada, bricch magliada, [ho] fatto la farinata, un poco bruciata, per nulla mangiata (Poschiavo [43]). – Doc., nell’accusa di una teste a un processo per stregoneria: «mi consigliò che dovevo far fare farinarza, et cadolcha ( cadulca) che sarebbe ritornato [il latte]» (Poschiavo 1672 [44]). mangiafarina s.m. Individuo sporco di farina (Sigirino). racatafarina s.m. Sponda di legno posta attorno alle macine del mulino per trattenere la farina (Gordevio). V. inoltre  fafarina

327 FARINA FARINA Dal lat. FARīNA(M) ‘farina’ [45]. – Le denominazioni di Gorduno per la farina di mais e di frumento (rispettivamente harini chértee harini lungu, al par. 4.1.) sono da ricondurre al tipo di buratto utilizzato: el büratt chért, il buratto corto, per la farina di mais, è fornito di soli due veli, mentre el büratt lungh, il buratto lungo, è fornito di tre veli per abburattare il frumento macinato. – La locuz. di Sonogno le ròba er farina ai söi ‘incomincia a sviluppare il seno, sta per raggiungere la pubertà: di fanciulla’ (par. 4.2.), che trova corrispondenza nel gros. rubär farìna‘crescere dei seni’ [46], se non intende semplicem. stabilire una relazione fra sottrazione del nutrimento al resto della famiglia e crescita supplementare di una parte del corpo della figlia, fa forse allusione all’imminente onere della dote, al quale i genitori dovranno far fronte: v. in  dòta1, par. 1.2. espressioni affini come quan nass na tusa, nass na ladra‘quando nasce una bambina, nasce una ladra: perché bisognerà prima o poi procurarle una dote atta a garantirle il matrimonio’ (Stabio [47]), ne tuse da maridá la spiante la cá ‘una ragazza da maritare manda in rovina la casa’ (Pagnona). – Con i dati del par. 8. andranno i nomi propri, in forma derivata, Farinéi, soprannome degli abitanti di Manno [48] e il cognome Farinelli (Bellinzona [49]), che ricorre anche nel toponimo di LosoneRónsgia di Farinèli in riferimento a una famiglia originaria di Intra e al loro mulino ad Ascona [50]: probabilmente di orig. soprannominale, essi riprendono i plurimi significati it. e dial. di farinello, fra i quali ‘farina mista al cruschello’ e ‘furfante’, quest’ultimo di provenienza furbesca [51]; a Mosogno si registra inoltre il cognome Farinoni [52]. – Quanto ai derivati (par. 9.): i tipi farinèlae farinéll indicanti il farinello e altre specie della stessa famiglia, diffusi in molti dial. it., trovano motivazione nella polvere bianca e farinosa presente sulla lamina inferiore delle foglie [53]; si spiega invece con la peculiare polpa farinosa della sua bacca il significato di ‘arbusto e bacca del biancospino’ di Lumino e Roveredo Grig. (cfr. il gros. farinèl ‘bacca del biancospino’ a Tiolo [54]). – Meno trasparente invece farinéll2 tradotto con un generico ‘falco’, che sembra essere avvicinabile ai pugl. farnarë, farnaronë‘falco, gheppio’, riconducibili all’agg. lat. FARINāRIUM (CRīBRUM) ‘staccio’ [55]. In questi ultimi il trapasso semantico da ‘setaccio, crivello’ a ‘falco’ può essere stato prodotto dal tipo di volo talvolta assunto da questi uccelli, i quali sbattono freneticamente le ali mantenendo però la stessa posizione statica a mezz’aria, ricordando così il movimento impresso al crivello (v.  crivèll, par. 5., e la relativa discussione etim. per i significati di ‘gheppio’ e ‘falco di palude’, cfr. inoltre i rom. cribel, crivel ‘falco, gheppio’ e il savon. crivèla‘lodolaio, piccolo falco’ [56]). Ipotizzare un valore analogo alla base di farinèll non è tuttavia possibile poiché il suffisso -ellonon sembra avere fra le sue funzioni quella strumentale [57]. Una diversa possibilità di derivazione da farinaè offerta dai suoi riflessi valtell. farinél, farinèl ‘colore cenere, scuro, marroncino, detto del pelo di capre’ (Val Tartano), culùr farinèl ‘colore rossiccio’ (Tirano) e dal valvarr. farinél ‘capra dal pelo bigio rossiccio’ (Premana) [58], che consentono di ipotizzare un impiego anche in riferimento al colore del piumaggio dei falconidi [59]. Almeno nel caso di Bondo, ci si chiede se non sottostia il tipo rom. filadè ‘gheppio, falco’, che emerge anche come filaréll ‘falco; avvoltoio’ a Stampa [60]. – Il comp. farinarsa(par. 10.), che trova riscontro nella vicina Engadina e pure fuori della SvIt. nelle aree circostanti del bacino della Mera e dell’alta Valtellina [61], è formato con l’esito del femm. lat. ARSU(M) ‘arso, bruciato’, part. passato di ARDēRE‘bruciare’ [62], v.  ars. La var. con sincope fararsaè testimoniata solo da una pubblicazione del 1987 [63]. B i b l.: AIS 2.255, ChERUB. 2.90-91, Giunte 81-82, 5.62. [1] MIChELETTI ANNONI, Poesii e stòri 2.27. [2] Arch. fonti orali, reg. 85.20. [3] GAROBBIO, AAA 77.136. [4] LURATI, Alm. 1982.114, CAMPONOVO, Mulino 56, DSI 3.46-47.71-89, MORETTI, Zolle 137-138, GAIA, CdT 30. 7.2016. [5] DSI 3.22.80-88. [6] Treterre 20.14. [7] Voce Ons. 39.197.11. [8] DOSI 3.209. [9] ALBISETTI, Fregüi 24. [10] MAGGINETTI-LURATI 55. [11] MANTOVANI, TCLoc. 7.83-85, DORSChNER, Brot 35, cfr. SChINZ, SvIt. 336. [12] Cfr. DORSChNER, Brot 54. [13] LAMPIETTI BARELLA 74. [14] BUSTELLI, Alura 50. [15] DSI 4.35.83-87. [16] DOSI 3.133. [17] PRONZINI, Em poo 157. [18] SChINZ, SvIt. 419. [19] CATTANEO, AMC1975.91. [20] BUSTELLI, Alura 85. [21] PORETTI, Malva 205, CAMPONOVO, Mulino 109. [22] LAMPIETTI BARELLA147. [23] PORETTI, Malva 205, 208, CAMPONOVO,Mulino 109, cfr.MOMBELLI, Terminol. agric. 85. [24] Cfr. BERGIER, Storia econ. 321,326,340, 342, LURATI, SchwAV 67.190,195, MANTOVANI, TCLoc. 7.85. [25] DOSI 3.209. [26] DOSI 3.136. [27] Cfr. BERGIER, Storia econ. 322, LURATI, SchwAV 67.181,189, Alm. 1982.118, cfr. MARTINONI, Viaggiatori 142-143, FRANSCINI, SvIt. 1.184-185, ANASTASIA, Diario 1.50, 2.98, 3.91,237. [28] BEFFA 124. [29] Cfr. GODENZI-CRAMERI 179. [30] LURATI, FS 72.73, cfr. Alm. 1992.14. [31] Cfr. DECURTINS11.169, v. ancheGIOVANOLI, Alm.Grig. 1978. 160. [32] SCOPACASA, Zicoria 224, cfr. TODOROVIćSTRähL 70. [33] WICkyBARELLA, Bofín 12. [34] PEDRUSSIO, Alm. Grig. 1955.125. [35] BüChLI,Mythol. 3.684. [36] Riv.Lug. 25.4.2014. [37] MOLINARI, Coditt 28. [38] Mat. RTT, RN 1.450,455, 2.137, ANL Someo 196, Cresciano 23,26. [39] Cfr. DOSI 2.175.37, 181 n. 37. [40] BERNARDI 44. [41] Alm.Grig. 1932.122. [42] MAURIZIO, Clavenna 9.130. [43] GODENZI-CRAMERI 326. [44] MAZZALI, Streghe 172. [45] REW 3197, SALVIONI-FARé, Postille 3197, DEI 2.1599, DELI2 561, DEEG 550, DELT 1.1510, REP 609610. [46] Cfr. DEEG550. [47] LURà, Alm. 1984.104. [48] Riv.Lug. 95.4.2014, PELLANDINI, Trad.pop. 111. [49] Nomi di famiglia3 1.526. [50] FORNERA, Losone 121, BROGGINI, Losone 89, D’AGOSTINO, Eco di Locarno 16.10. 1990. [51] CAFFARELLI-MARCATO 1.738, FERRERO, Diz.

328 FARINA FARLòCCh 136, v. anche CORTELAZZO-MARCATO 193-194 s.v. farinèl3, BATTAGLIA5.688 s.v. farinello2. [52] Nomi di famiglia3 1.526. [53] Cfr. PENZIG, Flora 1.114-115, ROLLAND, Faune 9.152. [54] DEEG 551. [55] REW 3198, SALVIONI-FARé, Postille 3198, ThLL 6.1.284.56-63; cfr. GIGLIOLI, Avifauna 356-359,372,382, CòCOLA73, GALANTE283. [56]DRG4.247, GIGLIOLI, Avifauna 396. [57] Cfr. GROSSMANN-RAINER, Formaz. 231,285-286, ROhLFS, GrIt. 3.1082. [58] DVT 370, BONAZZI, Lessico 1.281, BELLATI 530. [59] DVT 370. [60] Cfr. DRG 6.313. [61] DRG 6.129, MASSERA 55, GIORGETTA-GhIGGI 386, BONAZZI, Lessico 1.282, DELT1.1110. [62] REW620, LEI 3.1.1459, BRACChI, Clavenna 40.298-299, Antonioli in GIORGETTA-GhIGGI809, DELT1.1110; cfr. DEEG259 s.v. ärs. [63] GODENZI-CRAMERI 361. Bonetti farinada, -narsa, -násc, -nèi, -nèla, -néll, -nèll, -nént, -néta, -nétt  farina FARINN (farín) s.f.pl. Varietà di castagne (Claro). Il frutto è descritto come piuttosto tondo e particolarmente gustoso: stassiri fém lá i brasch coi farinn, questa sera cuciniamo le caldarroste utilizzando le castagne farinn[1]. Voce segnalata solo di recente (2020), probabilm. sorta da  farina‘farina’. ha origine da qui il masch.  farín‘varietà di castagno’ (Claro): a livello morfologico è infatti prassi comune designare l’albero con un nome derivato da quello del frutto qualora l’importanza di quest’ultimo sia primaria per la comunità (v.  castégna1); in particolare, si realizza in questo caso il tipo di conversione rappresentato in it. da la melafemm./ il melomasch. [2]. B i b l.: [1] Comunic. G. Bullo. [2] GROSSMANN-RAINER, Formaz. 506. Bonetti farinò, -nón, -nós, -nòta, -nòtt farina FARIRÒRA (farirra) s.f. Spruzzo di latte che esce dalle mammelle durante la mungitura. V a r.: faniròra (Marolta), fariròra (Ponto Valentino), finiròra(Prugiasco). La vaca la gh’a i finiró strècc, la vacca dà spruzzi sottili (Prugiasco). Deriv. di fil1 ‘filo’ e ‘spruzzo, zampillo, rivoletto’ col riflesso del suff. -ARIŏLA(M): il passaggio di i proton. ad anella prima sillaba risponde alle norme fon. locali; per l’esito del suff. cfr. ad es. aquiröö2 ‘acquaiolo’, barchiröö‘barcaiolo’ ecc. [1]. Le var. con -n- presentano dissimilazione di r-r, la prima dovuta a rotacizzazione di -l-, e forse l’influsso di fin‘fine, sottile’; altri sinonimi blen. derivati dalla stessa base sono cafiròra(v. cafira), filand(r)a(Malvaglia, Ludiano, Corzo - neso) e probabilmente anche figaréla(Leontica). B i b l.: [1] V. SALVIONI, AGI 9.226 n. 1, Scritti 1.51 n. 1. Moretti FARISÉO (fariṡo) s.m. Fariseo. V a r.: fariséo, fariséu; fariséi (Leontica, Osco). Esclusivamente impiegato nel suo senso figurato di ‘ipocrita, impostore’, dà luogo a diverse locuzioni: in man ai farisèi, in mano ai farisei: in situazione di grave incertezza e rischio (Mendrisio); véss in man ai scribi e farisèi, essere in mano agli scribi e ai farisei: in balia di gente ostile (Riva S. Vitale), sum chí fra scribi e farisèi, mi trovo fra due fuochi (Melide). –ATorricella-Taverne con scribis e farisèi si indicano scherzosamente i pidocchi. It. fariseo, tratto dai Vangeli, nel senso trasl. condiviso anche da molte riprese dialettali [1]. – La var. di Leontica e Osco riprende l’esito locale del suff. -āRIU(M), analogamente al mil. farisée [2]. Per le locuz. cfr. il mil. in man de scribi e farisei ‘in male mani, in pessime mani’ [3]. B i b l.: ChERUB. 2.91. [1] Cfr. BECCARIA, Sicuterat 149 n. 6. [2] ChERUB. 2.91. [3] ChERUB. 4.169. Moretti farlocá farlòcch FARLÒCCH (farlk) s.m. Sciocco. V a r.: farlòcch (Brissago, Gravesano, Sessa, Morcote, Ceresio), sfarlòcch, sferlòcch(Poschiavo). 1. Sciocco, chiacchierone Farlòcch, persona sciocca, poco seria (Gravesano [1]), individuo da poco, trasandato, malvestito (Rovio); anche usato al femminile: farlòca, stupidella (Brissago), l’è na póra farlòcch, è una povera minchiona, una stracciona (Brusino Arsizio); – a Poschiavo è usato piuttosto nel senso di ‘chiacchierone’: ta cumplangi parchí tu parlas da

329 FARLòCCh FARMACÍA sfarlòcch, e s’a gh’avéssi li man ta daròi un bèll sberlòcch, ti compiango perché parli a vanvera, e se avessi le mani ti darei una bella sberla [2]. 2. Derivati farlocá (Lug.), farluchè (Ludiano, Airolo), farluchèe(Olivone), sfarlocá(Poschiavo) v. 1. Parlare poco e male una lingua (Lug.); parlottare, chiacchierare (Airolo, Poschiavo). – 2. Tentennare, vacillare (Olivone). – 3. Eccitarsi, esaltarsi (Olivone); delirare, vaneggiare (Ludiano, Olivone). farlucögna s.f. Pazzia, follia (Olivone); fanatismo religioso (Olivone). farlucóns.m. Fanatico, invasato da ardore religioso (Olivone). Il termine si inserisce in una serie di voci quali i piem. ferlòch, ver. farlòc, farlòco, bresc. farlòc, mant. farlòch, trent. farlòc, nap. fërlòcco, oltre all’it. gerg. roman. farlocco [3], che presentano, a volte in simultaneità, i sensi di ‘chiacchierone, che parla insensatamente’ e ‘babbeo’. La loro storia, recentemente indagata, ne colloca le prime attestazioni in area lomb. [4]. Se ne è proposta l’equivalenza con allocco, nel suo senso fig., «con concorso di altra voce non identificabile» o per «prostesi spontanea anorganica, intesa ad evitare l’iniziale vocalica» [5]; il piem. fërloch ‘babbeo’ e ‘chiacchierone’ è stato ricondotto al fr. freluquet ‘giovane esile, frivolo e pretenzioso’ [6]. Vi si vedrà piuttosto, con Bracchi, un tema espressivo *FARL-/ *FERL- imitativo di suoni confusi [7], appoggiato a un suff. parimenti evocativo e piuttosto produttivo nella coniazione di termini di tale valenza semantica. – Il verbo deriv. (par. 2.) trova riscontri nel piem. ferlochè, nel mant. farlocar, nel ferr. farlucàr e nel bresc. farlocà su[8], tutti col significato di ‘parlare molto, confusamente, a vanvera, insensatamente’; la var. sfarlocási accosta a Poschiavo al sin. sfarlotá, con cambio di suffisso. – V. anche  ferlǘsc. B i b l.: [1] PASSARDI 114. [2] Alm.Grig. 1960.134. [3] SANT’ALBINO562, PATUZZI-BOLOGNINI 82, RIGOBELLO182, Vocab.bresc.tosc. 116, ARRIVABENE1.256, AZZOLINI 178, Voc. 472, RICCI 183, ALTAMURA118, FERRERO, Diz. 136, DE MAURO 7.39. [4] V. GIUSTI, Contributo 14-51. [5] BONDARDO 74. [6] REP 629. [7] DELT 1.1110-1111. [8] SANT’ALBINO562, ARRIVABENE1.256, NANNINI 84, FERRI 140, BAIOLINI-GUIDETTI 318, Vocab.bresc.tosc. 116. Moretti FARLÒPA (farlpa) s.f. Bugia, fandonia (Poschiavo). Var. di falòpa nel senso di ‘fandonia, panzana’, ben diffuso nei dial. dell’Italia sett. orient., per inserzione dello stesso tema espressivo *FARL- difarlòcch ‘stupido’. Moretti farlucögna, -ucón farlòcch FARMACÍA (farmačía) s.f. Farmacia. V a r.: farmacía; farmací (Chironico), farmacíe(Medeglia, Robasacco, Sementina, Breno). 1. Oltre al senso di ‘negozio di prodotti farmaceutici, bottega del farmacista’, presenta anche di recente quello di ‘armadio o cassetta contenente i medicinali’: ti t sè taiád un did? Varda mò che dént pal fürgón u gh’è dént la farmacía coi ceròtt e l disinfetant, ti sei tagliato un dito? Guarda un po’ che nel furgone c’è la cassetta dei medicinali con i cerotti e il disinfettante (Locarno). 2. Modi di dire, giochi di parole L’è na véra farmacía ambülanta, al va in gir cun la farmacía in scarsèla, è una vera farmacia ambulante, se ne va in giro con la farmacia in tasca: di persona malaticcia, che porta con sé grandi quantità di medicine (Viganello); passá vía di farmací a cifolandan, passare accanto alle farmacie fischiettando: godere di buona salute (Viganello). Tü lavóra in farmacía?, lavori in farmacia?: domanda ironica a un oste che dosa la mescita con eccessiva parsimonia (Ludiano). – A Viganello, con un gioco di parole basato su una rimotivazione paretimologica, farmacía al vör dí fá marcia, farmacia significa fare marcia: produrre pus. Fig. 54. Bilancia di farmacia proveniente daDongio (Museo di Blenio, Lottigna; fot. A. d’Auria).

330 FARMACÍA FARNéTIGh 3. Derivati farmacista; farmaciste (Medeglia, Robasacco, Sementina, Breno), farmacisti (Chironico), farmascista(Cimadera) s.m. Farmacista. Te s n’inténdet cóm un farmacista a faa cópp, te ne intendi come un farmacista a fabbricare coppi: sei un pasticcione (Brissago); – prézzi, afari da farmacista, prezzi, affari da farmacista: esosi, lucrosi (circ. Tesserete [1]); – l’èméi daa i danèe al calzulár che al farmacista, è meglio pagare il calzolaio che il farmacista: consumare le scarpe camminando piuttosto che dover ricorrere alle medicine (Menzonio). – Il termine viene talvolta scherzosamente impiegato in riferimento a chi centellina, dosa, mesce con parsimonia. It. farmacia, farmacista[2], termini di acquisizione recente rispetto ai più tradizionali spezziería, spezziée. B i b l.: [1] QUADRI, Dial.Capr. 102. [2] DEI 2.1600, DELI2 562. Moretti farmacista farmacía FARNAPUI (farnápu) s.pl. Chiacchiere futili, frottole (Lug.). Al cünta sǘ tanti farnapui, racconta un mucchio di sciocchezze. Il termine, raccolto da O. Lurati negli anni Ottanta del Novecento e localizzato genericamente come lug., rielabora il tema di farnétigh ‘frenetico’ con un’uscita spreg. quale si riscontra in vinápula‘vino scadente’ (Rovio) o grignápula‘ceffo’ (Gudo). Moretti FARNARDESGÍ (farnardeží) s.f. Ubbia, fisima, fantasticheria (Chironico). Voce risultante dall’unione del tema di farnétigh ‘frenesia’ con l’uscita del sin. fernesgí, var. locale di  farnasía, e l’inserimento di -r- anorganica. Moretti FARNASÍA (farnaṡía) s.f. Frenesia. V a r.: farnasía(Ludiano, Lavertezzo, Lug., Posch.), fernesgí (Chironico), fernesía (Cimadera, Roveredo Grig.), fornasía (Melide), sfarnasía (Brione Verz., Gerra Verz.). 1. La püssée bèla la fa l’amúr, la fa l’amúr cun un vegétt, che l’è cént ann ch’u pissa in lécc, u gh’a nid la farnasía, l’è nid un ratt a purtall vía, la più bella fa all’amore, fa all’amore con un vecchietto, che sono cento anni che piscia a letto, gli è venuta la frenesia, è venuto un topo a portarlo via: chiusa di filastrocca (Rivera); vèss in fernesía, essere in preda al delirio (Cimadera); on ròsc de rondolón in farnasía al sa distaca vía dai grondann, uno stormo di rondoni irrequieti si leva dalle gronde (Melide [1]). – A Gerra Verzasca sfarnasía, picacismo, appetito sregolato del bestiame. 2. Derivati sfarnasèna s.f. Picacismo, appetito sregolato del bestiame (Gerra Verz.). Dal lat. della medicina PhRENēSIA(M), deriv. del class. PhRENēSI(N) ‘frenesia, follia’ [2]; forme metatetiche appaiono molto precocemente anche in it. [3] rappresentandone l’evoluzione popolare. – Il deriv. esibisce il riflesso del suff. -AGINE, frequente in area valmagg. e loc. nella formazione di voci indicanti disturbi fisici o psichici (cfr. balordèina). – V. anche farnétigh. B i b l.: [1] POCOBELLI, Tilipp 23. [2] DEI 3.1714. [3] Cfr. DELI2 613, BATTAGLIA5.691, inoltre TLIO s.v. frenesìa. Moretti FARNASTIGH (farnástik) agg. Strambo, lunatico (Poschiavo). Incrocio di farnétighcon l’italianismo fantastigh ‘fantastico’ e anche ‘stravagante, bizzarro’ [1]; si veda il senso di ‘capriccioso, lunatico, balzano’ del corrispondente it. fantastico[2]. B i b l.: [1] LSI 2.390. [2] BATTAGLIA5.653-654. Moretti FARNÉTIGH (farntik) agg. e s.m. 1. Frenetico, furioso; smanioso, inquieto. – 2. Frenesia. V a r.: farnétigh (Olivone, Palagnedra, Pura, Lugano, Melide, Mendr., Poschiavo), farnitigh(Montagnola, Comano, Melide, Ceresio, Besazio), forlitigh(Brissago), fornitigh(Rovio), furlitigh(Brissago). 1. L’è n farnitigh, al gh’a dòss ul diavol, è un irrequieto, ha addosso il diavolo (Brusino Arsizio), a vegneréss bé a trovatt, ma con quéll forlitigh de

331 FARNéTIGh FARSA quéll Michéle che m tóca tòo dré, chissá che cá che a t cónsciom, verrei ben a trovarti, ma con quel terremoto di Michele che devo portarmi appresso, chissà in che stato ti riduciamo la casa (Brissago [1]). 2. A Brissago e qua e là nel Sottoceneri, frenesia, agitazione, irrequietezza: u gh’a dòss el furlitigh, ha addosso l’argento vivo (Brissago); – a Rovio vale anche ‘formicolio, sensazione di torpore e di prurito’. Dal lat. PhRENēTICU(M) [2] (anche PhRENīTICU(M) [3]) ‘pazzo, folle’, con metatesi. Per le attestazioni al par. 2., cfr. l’it. ant. e letter. farnetico‘frenesia, smania, delirio’ [4]. Sulle var. di Brissago ha forse influito  folétt ‘folletto’ e ‘individuo irrequieto, vivace’. B i b l.: [1] LURATI, FS 64.76 n. 24. [2] REW 6471. [3] ThLL 10.2055.38, DEI 3.1714 s.v. frenètico, frenìtica. [4] DEI 2.1600, BATTAGLIA5.692. Moretti FARNITA(farníta) s.f. Frenesia, smania, furore (Biasca). V a r.: farnita, farnitra. Cora farnitra ch’o gh’a adéss o gh lascia pas a nisciǘn, con la frenesia che ha addosso non dà requie a nessuno [1]; al maiaréss, dara farnita, dalla rabbia lo mangerei. Riduzione, tramite caduta del suff. at., di un *farnítigavar. femm. di farnétigh, sul modello di coppie come artrita/ artrítiga‘artrite’ o galita/ galítiga‘solletico’; la var. in -trapresenta l’esito del suff. at. -ŭLA. B i b l.: [1] MAGGINETTI-LURATI 92. Moretti faròba fá1 FARÒTT (fart) s.m. Mucchio, grande quantità (Soazza). Voce di origine incerta, forse nata da un’alterazione di fagòtt ‘fagotto’. Moretti FARÒZZ (farz) agg. e s.m. Robusto e laborioso, tuttofare (Balerna, Mesocco). Iscí faròzz cóma l’è, el stanta miga a fení in prèssa i lavór, così robusto com’è non stenta a finire in fretta qualsiasi lavoro (Mesocco [1]); – sum ul faròzz da tücc, sono il servitore di tutti (Balerna). Parrebbe un adattamento dell’it. feroce, attestato nel tosc. del xIVsec. come ‘di consistenza robusta, che cresce in terreni poco fertili (di pianta)’ e più tardi (xVIxVII sec.) anche ‘forte, robusto, poderoso, energico, gagliardo (di corpo, di membro del corpo)’ [2]. Il term. emerge anche nel brianz. ottocentesco feròsc‘robusto, ben disposto, ben complesso’ [3]. B i b l.: [1] LAMPIETTI BARELLA99. [2] TLIO s.v. feroce, BATTAGLIA5.849. [3] ChERUB. 4.83; v. inoltre FEW3.467b. Genasci FARPALL (farpál) s.pl. Volanti, guarnizioni di un tessuto (Terre Ped.). Var. con retrocessione dell’accento di falbalá ‘falpalà’, che pure presenta var. con l-l > r-l per dissimilazione. Moretti FARSA (fársa) s.f. Farsa. V a r.: farsa, farza; farse(Medeglia, Robasacco, Breno), farze (Gerra Gamb.), sfarsa(Sonvico). 1. I fiöö or giovedí grass, tosón e tosanèll, i a presentò trè fars, i ragazzi il giovedì grasso, maschi e femmine, hanno presentato tre farse (Breno); dòpo el drama i a dacc na farsa, dopo il dramma hanno inscenato una farsa: al dolore è seguito il sollievo (Roveredo Grig.). – Di impiego frequente soprattutto nei suoi sensi figurati: l’è tüta pórla in di öcc ai pòura cuiúi, l’è una farsa, è tutta polvere negli occhi dei poveri minchioni, è una presa in giro (Leontica [1]), ò mai vist no farsa compagna, non ho mai visto una pagliacciata simile (Roveredo Grig. [2]); – giüghèi na bèla farsa, tirargli un bello scherzo (Calpiogna), i i a fécc drè una farsa, lo hanno deriso, imbrogliato (Campo VMa.). 2. Derivati farzatt s.m. Burlone (Linescio). È l’it. farsa[3]. B i b l.: ChERUB. 2.91, MONTI 75, App. 36. [1] BERETTA, Nügra 80. [2] CATTANEO, AMC 1975.90. [3] DEI 2.1601, DELI2 562. Moretti

332 FARSR FARǗ FARSR (farsr) s.m. Burlone, sornione, fanfarone (Olivone, Osco, S. Abbondio). È il fr. farceur [1], giunto per il tramite dell’emigrazione. B i b l.: [1] TLF 8.660. Moretti FARSÜRA1 (farsǘra) s.f. Strato di fieno avariato. V a r.: farsǘira (Aquila), farsüra (circ. Malvaglia, circ. Olivone, Rossura, Quinto, circ. Airolo), fessuru (Chironico), flussura(Berzona). Il termine indica innanzitutto lo strato di fieno fermentato e inutilizzabile che si forma sopra il mucchio in conseguenza della fermentazione: la pía du fégn l’a fècc sǘ la farsüra (Quinto). – Per analogia, può anche indicare secrezioni o stati materiali generati da processi di fermentazione e maturazione o a essi collegati: l’umidità emanata dal fieno durante la fermentazione (Ludiano, circ. Olivone, Chironico), il siero secreto dalla ricotta (Olivone), la crosta verdognola che vi si forma (Aquila), la copertura della ricciaia che ne favorisce la fermentazione (Malvaglia). Da un deriv. in -ūRA (o, eventualm., -oria) di un part. pass. forte *FĕRSU(M) di FĕRVERE ‘bollire’ [1], come i sin. sursilv. fersira e cam. sfersüra [2] cui si aggiungano, con pref. rafforzativo, il verz. spreforzüra e il liv. sc’treforzúra[3]. B i b l.: [1] REW 3265. [2] DRG 6.220-221, GOLDANIGA2.387. [3] DELT 2.2487. Moretti FARSÜRA2 (farsǘra) s.f. Spersola. V a r.: falsüra(Leontica), farsciüra(Pollegio), farsüra(Ludiano, Olivone, Lev.), farsuri (Sobrio), frasgiuru (Chironico), fressüra(Biasca), fressuru(Chironico). 1. Asse rettangolare di legno inclinata usata nella preparazione del formaggio, dotata di scanalature dalle quali esce il siero latteo della pasta: u cumincé n cassini a prepará la caldére, prepará l dertǘ, méti sú la blaca, vultá l formacc dala siri sula fressuru, purtall sgiú n cáuna, cominciava in cascina a preparare la caldaia, preparare il colatoio, mettervi sopra la stamigna, voltare le forme di formaggio della sera precedente sulla spersola, portarle in cantina (Chironico [1]), a sas schiscia um puu par fèe gnii fò ul lacc crǘ e pǘ la sas métt süla farsüra a scurèe cur sǘ ul tapp cur um sass da fèe ul péis, si schiaccia un po’ [la cagliata] per farne uscire il siero e poi la si mette sulla spersola a scolare con sopra un’asse con un sasso per fare peso (Olivone [2]). 2. Derivati farsüréi s.m. Tipo di matterello usato per preparare dolci (Airolo [3]). Var. del più diffusoparsüra(< lat. *PRESSōRIA(M) ‘che serve a premere’ [4]), con iniziale modificata forse per influsso di altre voci, da taluno [5] riconosciute in alcune denominazioni facenti capo a FACTūRA(M) o FACTōRIU(M) e indicanti la forma rigida entro la quale si preme la cagliata [6]. – Il deriv. in -āRIU(M) (par. 2.) trova forse giustificazione nel fatto che l’impasto veniva spianato tramite tale attrezzo su un’asse simile alla spersola. B i b l.: [1] DOSI 4.181. [2] SOLARI, Semin.dial. [3] Ric. SM Airolo 1983. [4] Cfr. REW 6744. [5] BAER 72. [6] LUChSINGER, Molk. 32-33. Moretti farsüréi farsüra2 FARǗ (farǘ) s.f.pl. Ballotte. V a r.: farú, farǘ; farúd (Iragna, Bodio, Chironico, Sonvico), farǘd (Lodrino, Ble., Lev.), farüda (Breg.), farudan, faruden(Soazza), farǘdh(Cavagnago), farudi (Sobrio), farüdi (Posch.), farǘid(Aquila), ferú(Brissago, Mergoscia, circ. Tesserete), ferǘ(circ. Giubiasco, Biasca, Loc., Lug., Caneggio, Castaneda), ferúd (Bidogno), ferǘd(Isone, Leontica), ferüda(Corticiasca, VColla), förüda (Cauco), fraǘd (Lugano), frǘ (Menzonio, Rovana, Verz., Lug.), früda (Buseno, Cauco), fruden (Mesocco), fürüda (Cal.), fürüdü (Landarenca), harǘ (Gorduno). 1. Ballotte I farú i è i castégn chécc in l’aqua con la róla, le ballotte sono le castagne cotte nell’acqua con la buccia (Losone), castégn còtt in fruda (Mesocco), castégn em farú (Lumino), castagne lessate; dòpu scéna métum lá una pügnata da farǘ, dopo cena mettiamo a bollire una pentola di castagne (Sementina), i farǘd i é bói cor la fióra, le ballotte sono ottime con la panna (Lodrino [1]), in di sirá d’in - vèrn, intant ch’a cosèva i ferǘ da faa er poscéna, i fèmen i firèva, i ómen i fèva südes o caricc, o s smoltiscèva chèll ch’èra sücedǘ e prim da mangiaa i ferǘ o s giva sǘ l rosari, durante le sere d’inverno, mentre cuocevano le ballotte per lo spuntino, le donne fi-

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