Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana

Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana Fascicolo 100 falaa – farina Centro di dialettologia e di etnografia Bellinzona 2021

Centro di dialettologia e di etnografia viale Stefano Franscini 30a CH–6500 Bellinzona telefono +41 91 814 14 50 fax +41 91 814 14 59 e-mail decs-cde@ti.ch Direzione Paolo Ostinelli Coordinamento Dario Petrini Redazione Nicola Arigoni Martina Bonetti Giovanna Ceccarelli Johannes Galfetti Dafne Genasci Monica Gianettoni Grassi Antea Mattei Michele Moretti Dario Petrini Laura Sofia Dedichiamo queste pagine a Federico Spiess Pubblicato a cura della Repubblica e Cantone Ticino con il sostegno finanziario dell’Accademia svizzera di scienze umane e sociali In copertina Gioco dell’oca stampato a Parma verso la metà del Settecento e rinvenuto in una vecchia abitazione di Linescio (fot. M. Moretti). Prestampa Taiana Stampa Tipografia Pedrazzini Fr. 19.–

fALACiÓS 257 fALAA FALAA (fal) agg. Sbagliato, mancato. V a r.: falaa (Gandria, Viganello, Rovio, Pedrinate, SopraP.), falád (Torricella-Taverne), faló (Dalpe, Airolo), falò (Osco, Torricella-Taverne), falòo (Verscio, Cavigliano), falóu (Malvaglia, Olivone, Chironico, Soazza), falú(Poschiavo). 1. Solo in qualche rara attestazione nel senso di ‘sbagliato, scambiato con un’altra cosa’: l’é la clèv falèda, è la chiave sbagliata (SopraP. [1]); – qui anche la locuzione vita falada (Rovio, Poschiavo), … falèda(Malvaglia, Olivone), vita sbagliata, mancata: scioperato, fannullone, perdigiorno. 2. Malriuscito, che presenta difetti di fabbricazione (Osco, Verscio, Cavigliano, Torricella-Taverne, Gandria, Pedrinate, Soazza, Stampa): casgil falaa, formaggio non riuscito (Stampa [2]), pan falaa, pane malriuscito (Pedrinate), pènn falò (Osco), ròba falada (Cavigliano), panno, tessuto difettato, con imperfezioni nella trama. 3. Di pianta o frutto, poco sviluppato, improduttivo, sterile, vuoto, che non giunge a maturazione (Chironico, Dalpe, Viganello, Soazza): nósg falóu, noce che dà pochi frutti (Chironico), pcianta falada, pianta sterile, improduttiva (Soazza), spía falèda, spiga vuota, senza grani (Dalpe); – di animale: bés’cia falada, vacca difettosa (Soazza). 4. Ad Airolo, in uso sostantivato, individuo inetto, incapace: l’a maridó dumá na tè pòura falèda, ha sposato solo una buona a nulla [3]. Part. pass. di  falá. B i b l.: [1] GiACOMeTTi 92. [2] SChAAD, Breg. 125. [3] BeffA123. Galfetti FALABRÁGH (falabrk) s.m. 1. Minchione, sempliciotto (Sonvico). – 2. Persona pigra, inetta, buono a nulla (Malc.). V a r.: falabracch(Malc.), falabrágh(Sonvico). Voce d’area piem. che si propaggina con minime varianti (anche in forma agg.), nei dial. pav., vogher., mil., crem. e lig. centr. (PietraLigure, imperia), inuna gamma dimodulazioni semanticheoscillanti tra ‘persona grande e grossa; uomo grande, ma disadatto; persona sciocca e inetta, generalm. alta; bietolone, semplicione, citrullo; uomo adulto che fa ancora delle fanciullaggini; fannullone, buono a nulla’; ‘grossolano, goffo (Bellino, elva); epiteto affettuoso per bambino (Quarna Sotto); fantastico, bizzarro, singolare (Milano, Crema, Briga, Carnino); pasticcione, imbroglione (Pietra Ligure)’ [1]. – L’etimo è incerto e controverso: secondo il Levi il term. nascerebbe dall’incrocio tra Fier à bras (fortebraccio, personaggiogigantescodell’epica carolingia) con falürcu ‘uomo sgarbato e goffo’; il Gribaudo postula l’incontro di falurco‘sciocco’ con fërlochèt ‘fraschetto, vanerello’; il Lei lo registra tra i composti del lat. BRACAe‘brache’, senza però spiegarne la componente iniziale [2], per la quale, vista l’esistenza del tipo calabrache, ci si chiede se f- non possa in qualche modo rendere la spirante ch del lat. regionale ChALāRe‘far scendere’ (di origine greca), passaggio effettivamente riscontrabilenel corso ffalá ‘discendere, cadere’ e nel sardo ant. falar‘scendere’ [3]; il RePpropende invece per una sua derivazione dall’occit. falabrego‘bagolo, bacca greca’ < făBA(M) GRAeCA(M) ‘id.’ (con assimilazione consonantica b-g> b-b, successiva dissimilazione b-b> l-be assordimento della cons. finale), ammettendo un trapasso semantico da ‘bacca’ a ‘sciocco’ parallelo a quello dell’it. fagiolo (cfr. anche  fasöö ‘fagiolo’) [4]; quest’ultima proposta, tuttavia, non appare convincente, ostandovi il riferimento alla caratteristica fisica della grandezza e della grossezza che accompagna molte delle definizioni e che difficilmente può ispirarsi all’immagine di una bacca. Ciò rende più accreditabile la prima ipotesi, vale a dire quella deonomastica sostenuta daLevi [5] e ci si interroga, come congettura alternativa, se non sia istituibile un legame con la figura del gigante Fallalbacchio, le cui vicende sono celebratenel poema IlMorgantedi Luigi Pulci, attraverso una dissimilazione l-l > l-r e successiva metatesi della vibrante, favorita forse dalla sovrapposizione di braga ‘braca’. SecondoV. Rossi, il nome varrebbe ‘sciamannone, abborracciatore’, «uno che fa le cose al bacchio o a bacchio, cioè a vanvera, a casaccio» [6]. B i b l.: CheRuB. 2.470. [1] SAnT’ALBinO 546, LeVi 116, CLeRiCO 33, PReLLi 64, GRiBAuDO-SeGLie 2.315, VOLA 89, MASSAjOLi 135, MASSAjOLi-MORiAni 189, CuLASSO-ViBeRTi 193, ViGnOLA 169, BAROne 135, VPL 2.33, CheRuB. 2.470, SAMARAni 87, MARAGLiAnO, Diz. 221, AnnOVAzzi 122. [2] LeVi 116, GRiBAuDO-SeGLie 2.315, Lei 6.1652. [3] V. Lei 9.879.36-40. [4] ReP 599. [5] MiGLiORini, nome proprio 162-163, xxix. [6] V. Rossi, Scritti di critica letteraria, firenze 1930, vol. 2, pag. 367 n. 3. Galfetti FALACIÓS (falačs) agg. ingannevole, fallace. V a r.: falaciós (Camignolo), sfalaciús (Castasegna, Soglio). Si dice normalmente di frutti, piante o terreni agricoli: i véscuv inn sfalaciús, i véscuv [= varietà di castagno] sono fallaci: non sempre giungono a

258 fALACiÓS fALBALÁ completa maturazione o sono produttivi (Castasegna), l’é ün frütt sfalaciús, è un frutto fallace, non pienamente formato (Soglio). È da accostare agli eng. (s)fallatschus e surmirano falatchous ‘che non cresce bene, non fruttifica, andato a male (di piante, frutti, terreni, raccolti agricoli ecc.); difettoso (di animale); instabile (del tempo); insidioso, pericoloso, rischioso; ingannevole, fallace’ [1], e al chiavenn. šfalaciùus ‘rovinato’ (na štagiùn šfalaciùä ‘un’annata che ha dato poco fieno e altri raccolti’ [2]), di etimologia discussa: dal lat. fALLACiōSu(M) ‘fallace, ingannevole’ [3], da fALLāCe(M) ‘id.’ mediante il suff. -ōSu(M) [4], oppure prestito dall’it. fallacecon il riflesso del suff. -ōSu(M) [5], proposta foneticam. confacente soprattutto per il dato di Camignolo. B i b l.: [1] DRG 6.59, cfr. feW3.386. [2] GiORGeTTAGhiGGi 630. [3] SALViOni-fARé, Postille 3166b. [4] DRG 6.60, Antonioli in GiORGeTTA-GhiGGi 921. [5] hR 2.307. Galfetti falada, -adísc, -adiscia, -aduru  falá FALAIRINA (falarína) s.f. Codirosso (Campo VMa. [1]). Probabilmente da  feriröö‘id.’ con abbassamento ad a della proton., normale nella regione, e sostituzione di -öö con il suff. diminutivo -ina; l’infisso -airrappresenta l’esito del suff. -ARiu(M) in una fase che precede lo sviluppo in -ir- [2]. La -l- si deve a dissimilazione di r-r in l-r. – V. anche il sin.  ferairóm. B i b l.: [1] AiS 3.491 P. 50. [2] SALViOni, AGi 9.226 n. 1, Scritti 1.51 n. 1, SALViOni, Posch. 493, Scritti 1.269. Arigoni falanta, -lanza, -larésc  falá falata  fala2 FALBA (fálba) s.f.gerg. Predica, dottrina (VColla). Vocedel rügín, il gergodei calderai ambulanti dell’alta Capriasca e della Val Colla [1]. Origine sconosciuta. il termine, isolato, non permette accostamenti evidenti, salvo forse con il lat. fāBuLA(M) ‘favola, leggenda, racconto’ [2]: il ricorso a cultismi di origine lat. rientranegli espedienti lessicogeni utilizzati dai gerganti, per cui cfr. verbá ‘parlare’ < lat. VĕRBuM‘parola’. Altre ipotesi etimologiche si possono tuttavia prospettare su base semantica: le denominazioni gerg. della predica, tediosa (furb. mil. e it.), solfa (trevis. Piazza) e piagnisteo (furb. ven.) [3], ne sottolineano ingenere il caratteremonotono e noioso; questo valore è condiviso pure dall’it. scialbo e potrebbe pertenere perciò anche al tipo ver. fâlp‘scialbo’ (Garda), var. di falbo‘falso, difettoso’, di etimologia incerta [4], delineando così una pista interpretativa ulteriore: predica e dottrina diventerebbero la falba in quanto ‘(cosa) scialba (= tediosa o falsa?)’, una denominazione che vedrebbe quindi affondare le sue radici nel vernacoloveronese. nel furb.mil. e it. si ha tuttavia galba ‘minestra, zuppa’ [5], equivalente del dial. süpa‘zuppa’, che per traslato significa anche ‘noia, uggia; discorso, racconto lungo, ripetitivo, noioso’. Tenuto conto che fra le caratteristiche fonetiche particolari dei gerghi vi è lo scambio di consonanti specialmente velari (k, g) con dentali (t), labiali (p, b) o labiodentali (f), sia in posizione iniziale che interna (v. ad es. gaia/ baia ‘innamorata’, morchí/ morfire ‘mangiare’) [6], ci si chiede se la voce qui in esame nonpossa rientrare inquesta casistica (galba> falba), con uno trapasso di significato a ‘predica, dottrina’ suggerito proprio dalla metafora dialettale e un camuffamento dettato da intenti eufemistici. B i b l.: [1] LuRATi, Valli di Lugano 239,245,247. [2] ReW 3124. [3] BASSi, Gerghi ital. [4] RiGOBeLLO 180, BOnDARDO 73, v. anche feW 3.403b. [5] PRATi, Voci 92-93, feRReRO, Gerghi 140, BASSi, Gerghi ital. [6] SAn - GA, it.cont. 2.163. Galfetti FALBALÁ (falbalá) s.m. falpalà. V a r.: falbalá(SottoC.), frabalá(Biasca, Chironico, Airolo, Loc., Lug., Balerna, Roveredo Grig., Soazza, Cauco, Poschiavo), frabalán (Sigirino), frabelaa (Lumino), frapalá(Brusino Arsizio). 1. Balza di stoffa increspata o pieghettata della gonna: cutín sótt cul frabalá, sottana con il volant (Bironico), cèrti tusann dal dí d’incöö mangian magari pan inscí, ma vöran frabalá, birlinghitt, bracilitt, anéi, vèst ala mòda, certe ragazze del giorno d’oggi mangiano magari pane senza companatico, ma vogliono balze, fronzoli, braccialetti, anelli, abiti alla moda (Lugano [1]). – A S. Abbondio, mantellina del tabarro. 2. Balza o frangia di coperte o tende: prepónta cor frabalá, trapunta con la frangia (Sonvico), tindói col frabalá, tende con il volant (Tegna). – A Tegna e Cimadera, insieme delle tende del letto a baldacchino. 3. A Lumino, sbieco, lembo di stoffa tagliato obliquamente [2].

259 fALBALÁ fALC 4. fig., a Balerna, individuo inconcludente; – a Biasca, persona senza carattere [3]; – a Brusino Arsizio, babbeo, sempliciotto: l’è un póro frapalá, è un poveretto che si lascia abbindolare da tutti. Dal fr. falbala‘striscia di stoffa increspata’ [4]; la voce ricorre anche nell’it. falbalà, falpalà e in numerosi dial. it. [5]. – Le var. con fr- si devono a dissimilazione l-l > r-l e metatesi. La forma frabalándi Sigirino si può forse spiegare con l’avvicinamento al sinonimo volant, con pronuncia come nasale velare del nesso -nt attestata in altri francesismi come pandán ‘corrispondenza, simmetria’, portanfán‘portinfante’ [6]; v. anche, in area sv.rom., fèrbalạn, la cui uscita è comunque di origine non chiara [7]. – L’immagine della balza intesa come oggetto pendente e ondeggiante può essere alla base dell’idea di irresolutezza, volubilità e fragilità da cui sono sorti i significati al par. 4., cfr.  bagiae bagiöö‘penzolo d’uva; ciocca di fiori o frutti’ e ‘individuo ignorante, impacciato, sciocco, sempliciotto’; – frapalá ‘sempli - ciotto, individuo che si lascia abbindolare’ potrebbe anche risentire del tipo lessicale it. frappare ‘ingannare, raggirare con chiacchiere’, piem. frapè ‘ingannare, avviluppare con parole’, pavano frap(p)are ‘scherzare, celiare’, v. anche il venez. frapadór ‘impostore, imbroglione’ [8]. – All’ultimo par. si può verosimilmente affiancare il deriv. frabalón, -ónaattestato in una raccolta di espressioni dial. lug. di fine Ottocento nell’espressione che frabalóna d’una dòna! [9] senza traduzione. B i b l.: CheRuB. 2.170, AnGiOL. 331. [1] CATenA2.70. [2] PROnzini 61. [3] STROzzi 71. [4] TLf 8.623, feW 3.395,397-398,401; cfr. ReP 600. [5] Dei 2.1585,1590, DeLi2 556,557, zOLLi, influsso 3638, DARDi, Provincia 169-170. [6] LSi 3.712, 4.106, 5.801. [7] GPSR 7.123. [8] DeMAuRO3.67, v. anche BATTAGLiA 6.298; zALLi 1.364, PACCAGneLLA269, CORTeLAzzO581. [9] CATenA2.70. Sofia FALBÚR (falbr) s.m. Vampa, riverbero, riflesso (Bedano, Gravesano). Così come l’it. falbo‘di colore giallo scuro tendente al rossiccio’ [1], la voce lug., della quale si è occupato Salvioni [2], rimanda al germ. *fALWAattraverso lamediazione del lat. mediev. falvus‘id.’ o di altre lingue, con l’aggiunta del suff. -ōRe(M). [3]. forse il trapasso semantico trova la sua ragione inun accostamento tra il colore falbo del manto dei cavalli e quello di una fiamma. B i b l.: [1] BATTAGLiA5.581. [2] PeLLAnDini, Bedano 22, PASSARDi 113; SALViOni-fARé, Postille 3174. [3] ReW 3174, Dei 2.1585, PRATi, Vei 408, DeLi2 556, nOCenTini 411. Galfetti FALC (fálč) s.f. falce. V a r.: falc; fâlc (circ. Castro, circ. Olivone), falce (Certara), fals (Prato-Sornico, circ. Maggia), falsc(circ. Ticino, Arbedo-Castione, Lumino, Riv., Chironico, VMa., intragna, isole, Breno, S. Vittore, Cal., Posch.), falz(Rovana), fauc(iragna, Lev.), fausc(circ. Mesocco), fèlc (SottoP.), fólc (Arogno, Rovio, Mendr.), fòlc (Ceresio, Mendr., Castasegna), fòl(Castasegna), fòlcia(Stabio, Pedrinate), halsc (Gorduno). 1. falce fienaia 1.1. il senso di falce fienaia, applicato all’intero attrezzo come anche alla sola lama, è generale in un’area che comprende le valli Riviera, Blenio, Leventina e il Grigioni italiano, comparendone al di fuori solo in qualche rara e sporadica attestazione. Aribadirlo possono concorrere qua e là alcune specificazioni aggiuntive: falc da(l) fén, falce da fieno (Gnosca, Dalpe, Lavizz., Moes.), da/ per segá, per falciare (Dalpe, Mesolc.), da prò (Moes.), perdéra (S. Vittore), da prato, cfr. i doc. «una falzede segare» (Mesocco 1517 [1]), «falze 5 da prato» (Mesocco 1503 [2]), «una falcispredera» (RoveredoGrig. 1487 [3]), «una false pradera» (S. Vittore 1720 [4]). Strumento agricolo di uso remotissimo e di importanza fondamentale per la pratica agraria trafig. 44. Le parti della falce fienaia (dis. da BAeR2 35). costa lama tagliente cuneo ghiera manico codolo impugnature

260 fALC fALC dizionale, la falce fienaia compare già nell’iconografia medievale nella sua forma più evoluta, poi rimasta sostanzialmente immutata fino ai nostri giorni. essa si compone di una lama e di un lungo manico al quale viene fissata: la fauc l’a la lama cula cuèta, la véra da tacala, u mèni cula manigia d mézz e la manigia dadré, la falce ha la lama con il codolo, la ghiera per fissarla, il manico con l’impugnatura intermedia e quella posteriore (Airolo [5]). La tradizionale forgiaturamanuale della lama dell’attrezzo richiedeva particolare perizia ed era affidata all’opera di fabbri specializzati. Già piuttostoprecocemente iniziarono comunque a diffondersi manufatti di produzione industriale, poi smerciati nei mercati borghigiani a opera, anche in tempi recenti, di venditori ambulanti: la rinomata fabbrica di falci delle forges duCreux di Ballaigues nel cantone di Vaud, attiva dal 1783 al 1956, rifornì per decenni tutta la Svizzera di lame di ottima qualità [6], mentre quelle dellamarca grigionese Calanda erano diffuse soprattutto in Bregaglia.Molto apprezzate nella Svizzera italiana erano anche falci di produzione austriaca, immediatamente riconoscibili dalmarchio punzonato sul codolo unitamente alla misura della lama espressa in centimetri o secondouna numerazione convenzionale; popolarissimi furono ad esempio i diversi modelli della Schwanen Sense prodotta dalla ditta Redtenbacher di Scharnstein, attiva dallametà del Seicento fino agli anni Ottanta del novecento, caratterizzati dalla tipica coppia di cigni ed esportati in tutto il mondo: a gh uér crumpá na falc e ca la sii Made in Austria, na cód e ca la gh’a da vèss na vera bergamasca, un furchètt, ma ch’u gh’abi sú ul stèma du Guglièlmo Tèll, bisogna comprare una falce e che sia di fabbricazione austriaca, una cote che deve essere una vera bergamasca, una forca, ma che porti lo stemma di Guglielmo Tell (Sobrio [7]). L’acquisto dell’attrezzo poteva comportare una spesa consistente per il bilancio economico delle piccole aziende familiari: in cüi tém a gh’éra gnènn da fá: s pudéva mía crumpá dó fâlc a r’ânn, perè la custâvap sgiâdés dódas fran, a quei tempi [negli anni Quaranta del novecento] non c’era niente da fare: non si potevano nemmeno comprare due falci all’anno, perché costava poi già dieci dodici franchi (Ponto Valentino [8]). La lama, di lunghezza normalmente compresa tra 60 e 80 cm, è di forma leggermente arcuata; al tagliente, situato sul lato interno, concavo, si oppone la lunga costa rinforzata alla cui estremità è fissato il codolo. Questo porta nella parte inferiore un risalto destinato a inserirsi nel corrispondente alloggiamento situato sulmanico. L’angolodi apertura del codolo, e conseguentemente del manico, rispetto alla lama può essere all’origine di difetti che impediscono un corretto utilizzo dell’attrezzo: se questo ne risulta troppo divaricato si parla di falc avèrta(Ble., Posch.), falce aperta, che nel maneggio raccoglie troppo fieno rallentando e stancando l’operatore; se troppo acuto si parla di falc cióussa (Leontica, Olivone), fèlc sarèda (Bondo), falce chiusa, che risulta poco efficace raccogliendo a ognimovimentopocofieno. Anche l’inclinazione del codolo, e quindi del manico, rispetto alla lama hauna suaposizione ottimale: un tempo aLeontica erano ad esempio ritenute altrettanto difettose la fâlc che guarda i facia, falce che guarda in faccia, col codolo quasi parallelo alla lama che quindi risultava troppo rialzata dal terreno, e quella che va a terégn, che va verso il terreno, il cui codolo eccessivamente inclinato rispetto alla lama la faceva radere troppo. Si provvedeva pure a rivoltare leggermente verso l’alto la punta della lama per evitare che si conficcasse nel terreno. falci con la direzione del tagliente invertita rispetto al codolo sono destinate a falciatori mancini. La lama si fissa al manico tramite una ghiera, tenuta ferma da un cuneo di legno nei modelli più vecchi o bloccata tramite viti o una chiavetta nei modelli più moderni. il manico, diritto o leggermente incurvato, può essere di legno forte (frassino, noce, ciliegio) o, preferibilmente, di legno leggero ed elastico (tiglio, acero o salice) ed è provvisto di due impugnature, una situata alla sua metà e l’altra all’estremità opposta alla lama; le impugnature possono essere rivolte verso la lama o opporsi a essa, seguendo differenze regionali. Di produzione più recente sono anche manici di metallo. Si ritiene ben calibrata la falce che misuri uguale distanza tra l’impugnatura centrale del manico e le due estremità della lama e che, posta davanti a sé con l’estremità delmanico appoggiata sul piede fig. 45. il codolo di unmodello di Schwanen Sense (fot. A. d’Auria, CDe).

261 fALC fALC e mossa lateralmente a semicerchio, mantenga la costadella lama suuna linea tangenziale all’altezza degli occhi. nella scelta della lama si bada a che presenti uno spessore uniforme lungo tutta la sua lunghezza e risulti il più possibile leggera. A seconda della lega impiegata e del grado di tempra, la lama può rivelarsi piùomenodura, confacendosi alladiversa natura delle erbe da falciare; lame dure erano preferite per lo sfalcio delle abbondanti erbe tenere cresciute su terreni ben concimati, mentre lame più malleabili risultavano maggiormente efficaci nel taglio delle erbe coriacee dei prati magri montani. Le lame dure sono più soggette alla fessurazione del tagliente, mentre esemplari realizzati con acciaio dolce, di più facile ribattitura e affilatura, sono destinati a ottundersi più rapidamente: üna buna falc l’avéss da éssar pütóst düra, la tégn méar al fil, una buona falce dovrebbe essere piuttosto dura, mantiene meglio l’affilatura (SopraP. [9]). Lunghezza, larghezza e spessore della lama sono pure elementi importanti da valutare in riferimento alla corporatura dell’utilizzatore, almodo di impiego, al tipo di erbe da falciare e alla configurazione del terreno. utile a saggiare la qualità del metallo è sentirne il suono: una falsc chi suna cumé una padèla róta la val tant cumé nogóta; na buna falsc, anca a batt puchín l’a da ciamá vin vin, una falce che risuona come una padella rotta non vale niente; una buona falce, anche a battere poco, deve far sentire vin vin: mandare un suono squillante (Brusio), üna falc düra e stila da carta, sa tü pica la punta sünt ün sasc, la fa ün sun alt e fin, una falce dura e dalla lama sottile, se ne picchi la punta contro un sasso produce un suono alto e acuto (SopraP. [10]); il frastuono prodotto battendo con un ferro sulle lame delle falci era anche ritenuto utile ad arrestare gli sciami di api in volo. essenziale per unproficuo impiegodell’attrezzo è la perfetta affilatura della lama: u crumpòu una fausc che la taia cóm un rasó, ho comperato una falce che taglia come un rasoio (Mesocco [11]). Prima dell’impiego, le lame nuove vengono spesso sottoposte a una vigorosa limatura; in seguito, per mantenerne la piena operatività, il filo della falce deve venir regolarmente assottigliato mediante martellatura sull’apposita incudine. nella variante più antica, detta «all’italiana», questa può essere a bocca larga, richiedendo l’utilizzo di unmartello a bocche strette; nell’altra forma, detta «alla tedesca» o «alla bergamasca», è invece a bocca stretta, sulla quale si batte conunmartello a bocche larghe; l’incudine è normalmente fissa, piantata nelle vicinanze dell’abitazione in un ceppo di legno o in un blocco di pietra eventualmente provvisto di un incavo da riempire condell’acqua. Lamartellatura veniva di solito eseguita personalmente, o delegata ad altri dietro modico compenso; essa va eseguita con particolare cura, tenendo sempre bagnata, eventualmente con della saliva, la lama e la bocca delmartello per evitarne il surriscaldamento e per rendere più evidente il margine assottigliato; per non rovinare il tagliente, il martello deve essere impugnato saldamentema battuto con leggerezza, quasi lasciandolo cadere unicamente sotto il proprio peso. Se mal eseguita, l’operazione può guastare la falce, rendendone ondulato il filo o intaccandolo: la falsc la vén un rasigón pléna da dént, la falce diventaun segone pienodi denti (Poschiavo [12]), t’a cusgnú ra falc cuma un’uvéta, hai ridotto la lama come una cuffia ricamata (Ludiano [13]). Si parla allora di falc spizzurlèda, merlettata (Ludiano), vanèda, venata (Olivone), garièda, cariata (Calpiogna), sassinada, assassinata (Roveredo Grig.), zizzèda, ammaccata (SopraP.), scalotada, intaccata (Brusio). Per la battitura completa, la lama viene normalmente tolta dal manico e il filo martellato sui due lati; per un ripasso più rapido, eseguito sul prato servendosi di un battifalce piantato nel terreno e appositamente munito di risalti atti a impedirneun’eccessiva penetrazione, la lama poteva rimaneremontata sul manico e l’operazione limitarsi alla sola battitura del suo lato inferiore: un gh’a miga da dismentighè l’ancún, perchè un gh’a la fausc damarlá, non dobbiamo dimenticare l’incudine, perché dobbiamo martellare la falce (Mesocco [14]). Oltre alla battitura col martello, il filo della lama può venir ravvivato stringendolo tra le ganasce di un’apposita morsa fissata a un banco da lavoro. La martellatura si rende necessaria già dopo poche ore di utilizzo, e può essere ripetuta anche più volte durante la stessa giornata. i falciatori più previdenti si premuravano perciò di portare sul prato due o più lame già ribattute in precedenza, in modo da poter effettuare rapide sostituzioni ed evitare di interrompere il lavoro: i n martléum sémpru piünda e vüna, i n martléum dó par mía stè sǘ a pèrd témp par martlè la fauc, ne martellavamo sempre più di una, ne martellavamodue per non essere su a perdere tempo amartellare la falce (Airolo [15]). Durante la falciatura, poi, la lama perde rapidamente l’affilatura necessaria, inparticolare agendo su erbe dallo stelo duro o quando capita di urtare contro pietre e detriti vari o di incontrare i mucchietti di terra sollevati da talpe o formiche: l’è na falc che in trí e trí sés le pard ol fii, è una falce che in tre e tre sei perde il filo: si ottunde velocemente (Biasca), la fauc l’é bóuzza, l’a pèrz u fí, l’é mé na zapa, la falce è smussata, ha perso il tagliente, è come una zappa (Calpiogna), a sém nacc inanz a mundá i préi, l’è un lavór da curá bén par mighi ris’ciá da ruiná subit

262 fALC fALC la falc sgiá al primcanvòu, quand ca a sará sciá óra da segául fén, abbiamo continuato a ripulire i prati, è un lavoro da effettuare con cura per evitare di rovinare la falce già alla prima andana, quando arriverà il momento di tagliare il fieno (Sobrio [16]). La falce deve quindi venir costantemente ravvivata con la cote (cfr.  cód1), portata e mantenuta bagnata nell’apposito contenitore ( codée) appeso alla cintola: mòra la falsc che te féi man fadiga a seghèe, affila la falce che faimeno fatica a falciare (Lodrino [17]), unbunpradé al tén la falsc afil, unbuon falciatore mantiene la falce affilata (Brusio); prima di passarla ripetutamente sulla lama, questa deve venir ripulita servendosi di unmazzettodi erba. Sono ricordati diversi modi di ravvivare la falce con la cote, in particolare riguardo alla posizione nella quale viene tenuto l’attrezzo, riferiti al genere (le donne tenendonormalmente ilmanico appoggiato a terra e la lama inposizione orizzontale, gli uomini posandolo sulla coscia con la lama in verticale) o alla provenienza regionale degli addetti. L’impiego della falce fienaia era di per sé considerato prerogativamaschile, le donne occupandosi semmai dello sfalcio di rifinitura eseguito con la falciola; tuttavia in molte zone, soprattutto dove l’elemento maschile era assente durante il periodo estivo perché impegnato sugli alpeggi o emigrato all’estero, erano le donne a doversi incaricare della falciatura, eventualmente avvalendosi di strumenti a loroproporzionati, dalla lama e dal manico più corti. Precauzioni particolari venivano riservate alle falci: si evitava ad esempio di lasciarle al sole, onde evitare che il surriscaldamento rovinasse la tempra dell’acciaio; appare forse esagerato l’invito di Mesocco metiden miga dént la fauscián int el técc, che el selustra; el fèr el tira el trón, non riponete le falci nella stalla, che lampeggia; il ferro attira il fulmine. La lama della falce veniva usata fino al suo completo consumo: si sono viste lame ridotte quasi alla sola costa e tuttavia ancora sufficientemente operative. in caso di rottura, le lame venivano riparate saldandovi delle pezzemetalliche opotevano venir riutilizzate in diversi modi, ad esempio come rudimentali cardini di porte o, provviste di fori, come grattugie per il formaggio; una vecchia lama rovinata fissata suun supporto di legno poteva fungere da tritapaglia; a Leontica la falcéta consisteva in un moncone di lama di falce fienaia fissato a un cortomanico e usato come zappetta per la raccolta sotto i cespugli di muschio e aghi di conifere da impiegare come strame. La falce fienaia era adoperata quasi esclusivamente per il tagliodel fieno: inquéi témpas saghèva tütt cun la falc e as purtèva al fén e al rasdív ént al tublá cun la fraschéra e cul campacc, a quei tempi si falciava tutto con la falce e si portava il primo e il secondo fieno nel fienile con il telaio e la gerla a stecche rade (Vicosoprano [18]). L’attrezzo veniva usato anche sui ripidi pendii montani per il taglio del fieno selvatico: a n’u fècc passèe di scénsg cula falsc, ne ho fatte passare di cenge con la falce (Preonzo); per tale impiego la fauc l’éa na faucina …, una fauc pisna, e l rastéll l’éva l mèni piünda ört, la falce era una falcina, una falce piccola, e il rastrello aveva il manico più corto (Airolo [19]). Solo saltuariamente si accenna al suo impiego per la mietitura dei cereali (per la quale ci si serviva normalmente della falciola), eseguita allora con una tecnica differente rispetto a quella normalmente in uso per lo sfalcio: quan che la sa s taiava, a s daséva chéll cólp sécch cola fauc, mía cume siè ul fégn, che tu ciapat l’andadüra, quando la si tagliava [la segale], si dava un colpo secco con la falce, non come quando si falcia il fieno, che si segue un movimento regolare (Osco [20]). Come più in generale per tutti gli utensili da taglio, anche la falce è considerata attrezzo strettamente personale, conservata e curata gelosamente e per nessunmotivo ceduta in prestito a terzi. Perfino i fienaioli stagionali, quelli attivi nella Svizzera italiana provenienti soprattutto dalla Bergamasca e dal Bresciano, portavano nelle loro peregrinazioni il proprio strumento; negli spostamenti la lama veniva fissata ripiegata lungo ilmanico, posato sulla spalla e al quale veniva anche appeso il fagotto contenente i pochi indumenti ed effetti personali. Durante il lavoro, la falcemontata veniva pure portata appoggiandone il manico sulla spalla, con la lama però rivolta all’insù per diminuirne la pericolosità nel caso di cadute accidentali. il corretto impiego della falce fienaia non è di immediata facilità e richiede pratica ed esercizio prolungati al fine di giungere a fá balá la falc, far ballare la falce (Poschiavo), effettuando un movimento regolare e armonioso, garanzia di minore fatica e di falciatura ottimale: quéll ilò invéce da segá cul fil dala falsc al séga cul fil dala schéna, quel tale invece di falciare col filo della falce falcia con la spina dorsale: con troppa veemenza e stancandosi inutilmente (Brusio). La relativa abilità, evidenziata dalla regolarità delle andane che si vanno progressivamente formando sul prato, godeva pertanto di grande considerazione nella società tradizionale, e la sua acquisizione poteva costituire per i giovani una sorta di rito di iniziazione all’età adulta [21]; pur non avendo notizia per la Svizzera italiana di vere e proprie competizioni di sfalcio, attestate invece inaltre regioni del Paese, i falciatori potevano, come nel Poschiavino [22], misurarsi e cercare di superarsi per diletto durante il lavoro. All’impiego della falce fienaia possono essere legati aneddoti, talvolta forse almeno in parte fan-

263 fALC fALC tasiosi e leggendari: in valle Rovana si racconta di alcuni fienaioli ai quali il proprietario del terreno da falciare aveva negato la merenda, chiedendo però loro di fingere di consumarla durante la pausa del lavoro onde non sfigurare davanti ai vicini; terminata la pausa, i falciatori avrebbero montato la lama al contrario sul manico e proseguito fittiziamente nel lavoro facendo finta di falciare. L’aspetto del metallo della lama dipende dall’umidità dell’aria, ciò che poteva dar spunto a previsioni meteorologiche: quand el fil dela falc el vén blú, … quand la falc la fa sú i bocetinn vérd o blú, el vén a piév, quando il filo della falce diventa blu, quando la lama si copre di palline verdi o blu, verrà a piovere (Cama [23]), sa la falsc, apéna fünǘ da segá, la incumincia a sa inravegianá, brütt fará; sa invéce la divénta brasada, al fará na gran sulada, se la falce, appena finito di falciare, incomincia ad arrugginire, farà brutto; se invece brilla ci sarà un lungo periodo di soleggiamento (Poschiavo [24]). La lama può mutare di colore anche in base alla qualità del fieno tagliato; quando si taglia fieno secco essa si copre di una patina nerastra, e a Poschiavo si dice allora che la falsc la fa sǘ l gatt, la falce forma il gatto. La diminuzione generale dell’attività agricola, la riduzione delle superfici coltivate a prato e soprattutto l’avvento di una capillare meccanizzazione hanno portato fin dal secondo dopoguerra a un rapido abbandono della falce quale strumento principe per il taglio del fieno; di conseguenza, a s sénn piǘ nisciǘn marlèe la falsc ala matín, non si sente più nessuno battere la falce la mattina (Lodrino [25]); parallelamente è quindi anche crollata la produzione dell’attrezzo. Oggigiorno esso viene ancora impiegato da qualche anziano o per piccole superfici e in luoghi discosti, incontrando anche il favore di alcuni appassionati per i quali vengono organizzati corsi specifici di apprendimento. 1.2. Locuzioni, modi di dire, proverbi, filastrocche 1.2.1. nell’iconografia tradizionale, ad esempio sugli affreschi di numerose cappelle o nel trionfo numero 13 del gioco dei tarocchi, la morte viene spesso rappresentata da uno scheletro che brandisce la falce; da qui l’espressione chèla dala fauc, quella della falce: la morte (Airolo [26]); fign che végn quèll dra falc, a s’a da piantaa tütt e nagh dré, quando arriva la morte, si deve abbandonare tutto e seguirla (Biasca [27]); v. anche  falción. fig. 46. Le principali denominazioni della falce fienaia nei dialetti della Svizzera italiana.

264 fALC fALC 1.2.2. Vuléir tör al canvaa pǘ largh cu la falc, voler cogliere l’andana più larga della falce: azzardare oltre le proprie possibilità, esporsi a rischi eccessivi (SopraP. [28]). 1.2.3. in un proverbiometeorologicomolto diffuso, le cui varianti locali fanno riferimento alla cimamontana dominante nella rispettiva regione [29]: can che l Scimón da Crèe u fa sú l capéll, pónto víï la falsc e cata sciá el rastéll, quando il Pizzo di Claro si mette il cappello, riponi la falce e prendi il rastrello (Moleno), cura ca l Varuna al gh’a sǘ la curuna, al Curnasèll al capèll, lassa la falsc e ciapa l restèll, quando il PizzoVaruna ha la corona, il Curnasel il cappello, lascia la falce e prendi il rastrello (Poschiavo [30]): quando lamontagna si copre di nuvole si deve smettere di falciare e iniziare a raccogliere il fieno prima che arrivi la pioggia. – Róss ded żóra, tö sǘ la falc e va lavóra, róss ded żótt, tirat sótt i quèrt e sta sótt, rosso a ponente, prendi la falce e va a lavorare, rosso a levante, tirati sotto le coperte e resta a letto (Quinto). – Falc marlèda, fadiga spargnèda, falce martellata, fatica risparmiata (SopraP. [31]). – Chi séga a l’òrba, la falsc al sciòrba, chi falcia alla cieca, la falce acceca: chi lavora malamente rovina gli attrezzi (Poschiavo [32]). – il taglio del primo fieno, che prendeva normalmente avvio verso l’inizio di giugno, viene ricordato dal detto sgiugn, la falsc im pugn, giugno, la falce in pugno (Claro). 1.2.4. La falcefienaia compare inalcune varianti di una nota filastrocca cumulativa a richieste concatenate: … sém nècc do pró par fam dè l fén, o pró m’a mía dècc o fén sénza la fauc, sém nècc do faréi par famdè la fauc, o faréim’amíadècc la fauc sénza n grèi d sóisgia, …, la sóisgia l’ó dècc o faréi, o faréi m’a dècc la fauc, la fauc l’ó dècc o pró, pró m’a dècc o fén, sono andato dal prato per farmi dare il fieno, il prato nonmi ha dato il fieno senza la falce, sono andato dal fabbro per farmi dare la falce, il fabbro non mi ha dato la falce senza un po’ di sugna, la sugna l’ho data al fabbro, il fabbro mi ha dato la falce, la falce l’ho data al prato, il prato mi ha dato il fieno (faido [33]). 2. Roncola 2.1. il significato di roncola, già verosimilmente attestatonegli statuti trecenteschi diMinusio («pastores caprarum…nondebeant …portare cumipsis aliquam seculem falzemfalzonum» [34]) è preponderante nel Bellinzonese, in Vallemaggia, nel Locarnese e in tutto il Sottoceneri, pur comparendo sporadicamente anche altrove, nel circolo di Mesocco affidato al sintagma disambiguante di falc da bósch, falce da bosco, e a Roveredo Grig. di falc di légn, falce dei legni, o daman, damano; v. anche i doc. «falce6 da bosco» (Mesocco 1503 [35]), «una falcie da legnio» (Mesocco 1503 [36] «una falcia da legnia» (Brione Verz. 1790 [37]), «due falces a manu» (Roveredo Grig. 1487 [38]), «una false da mano» (S. Vittore 1720 [39]). La tipica roncola in uso nelle nostre terre, conosciuta commercialmente sotto ladefinizione «tipo Bergamo» ma significativamente denominata oltralpe Tessinergertel, roncola ticinese, consta di una lama di acciaio adunca di lunghezza normalmente compresa fra 25 e 35 cm,munitadi una costa diritta e di un solo tagliente sul lato concavo a essa opposto. il rivestimento del codolo ne costituisce il manico, negli esemplari più antichi di legno o di corno e nella forma tuttora diffusa formato da una serie di rondelle ovali di cuoio, talvolta intercalate da alcune di feltro che ne rendono piùmorbida l’impugnatura; il manico è provvisto contro la lama di un disco di cuoio protettivo e all’estremità inferiore di ungancio, utile ad appendere l’attrezzo e ad assicurarne la presa, a sua volta protetto da una striscia di cuoio e fissato tramite la ribaditura del codolo. Ronchetti piùpiccoli (v. falcéta, falcétt, falcín) si distinguono per il manico genefig. 47. Rappresentazione della morte nella casella 58 di un gioco dell’oca stampato a Parma verso la metà del Settecento e rinvenuto in una vecchia abitazione di Linescio (fot. M. Moretti).

265 fALC fALC ralmente di legno e privodi uncino. Di fatturamolto più semplice rispetto alle falci fienaie, le roncole venivano generalmente forgiate al pari di altri strumenti da taglio quali scuri e accette da fabbri locali, di cui spesso recano punzonati il nome e la sede aziendale; per la loro affilatura si usa una lima da muovere nel verso della lama. La roncola viene portata dietro la vita, appesa col tagliente rivolto all’insù a un apposito supporto infilato nella cintura (cfr. al par. 6. e v.  filipa), ed è usata per tagliare rami di limitata sezione, sgrossare o appuntire pali, spaccare legnaminuta e per altri impieghi affini; due roncole ben appuntite piantate alternativamente nel tronco facilitavano l’ascesa sulle piante di castagno per la loro bacchiatura [40]. A Brione Verz. lafalc da fèe sgiǘ föia, falce per sfrondare, erauna roncolamontata suun lungomanico, usataper tagliare le fronde di latifoglie dautilizzare quale foraggio per le capre [41]. Col termine viene anche designato uno strumento da taglio simile, dotato però di lama diritta, più larga e di forma leggermente trapezoidale, usato per la lavorazione del legno, come tritapaglia (in Verzasca falc dar lisca [42]), o in macelleria; a Sonogno indica pure una lama a filo ottuso sulla quale, infissa nello stipite di una porta, si facevano passare le fibre di canapa per affinarle [43]. nella documentazione storica la roncola è talvolta segnalata come arma di offesa, di cui poteva essere limitato il porto e l’impiego: così nel Quattrocentouna«falcem»negli statuti di Lavizzara [44] e la «falcis a buscho» in quelli criminali di Lugano [45] figurano tra le armi vietate; significative a tal proposito sono pure le testimonianze di fine Settecento di K. V. von Bonstetten («DieMänner von Verzasca … tragen alle hinten amGürtel ein Schuh langes oben gekrümmtes scharfes Messer, Falce genannt, mit dem sie sich morden» [46]) e di h. R. Schinz: «Sie sind immer auf eine Weise bewafnet … mit einer Art krummer breiter Messern (Falce) die sie zum holzhacken sonst gebrauchen» [47]. L’è taiénta ste falc, è affilata questa roncola (Camorino), iér a sónt andacia da par mí col gèrlo e la fólc par fá quai fassétt da ginéstri e quai tapp da pizzá al fögh, ieri sono andata da sola con la gerla e la roncola per procurare qualche fascina di ginestre e qualche scheggia per accendere il fuoco (Arogno [48]), i fava l pagn lór, i l fava na vòlta al mès, sichè figurémas ala fign dal mès cuma l’èra bón chèll pagn! I duèva ciapaa la falc e l sigròtt par taiall sgiú, facevano loro il pane, lo facevano una volta almese, sicché figuriamoci alla fine delmese come era buono quel pane! Dovevano prendere la roncola e l’accetta per tagliarlo (Verscio [49]), dai sǘ fía al sigürín e la falsc, affilare l’accetta e la roncola (Gordevio); cula falc de bósch um taia i ram, con la roncola tagliamo i rami (Soazza), se tu vai amónt, disméntigamigada té dré la fausc da bósch, se sali ai monti, non dimenticare di prendere con te la roncola (Mesocco [50]). 2.2. Locuzioni, modi di dire, filastrocche 2.2.1. Métt la fólc al còll, mettere la roncola al collo: minacciare, mettere alle strette (Riva S. Vitale); – vistí cui pagn taiád gió cura falc, portare vestiti tagliati con la roncola: informi, sgraziati (Grancia), lavór squadròo giú con la falc, lavoro squadrato con la roncola: malfatto (Brissago); – punt che sa pò tacágh lá la fólc, punti che si può appendervi la roncola: punti di cucito malfatti, eccessivamente lunghi (Rovio); – vègh er léngua da falc, avere la lingua di falce: essere caustico, mordace (Lavertezzo [51]). – A Sonogno vèss in falc, essere affamato: sti tosói i é adéss in falc, ma l’é pöö méi ch’i aa famche vèssmarée, questi ragazzi sono sempre affamati, ma è certo meglio avere fame che essere ammalati. fig. 48. Roncola forgiata da un fabbro Cavalli di intragna (fot. A. d’Auria, CDe).

266 fALC fALCÈLA 2.2.2. La Mariana la va in campagna, con la sapa e la cavagna, con la falc dadré du ú, la Mariana la végn a á piú, la Marianna va in campagna, con la zappa e la cesta, con la roncola dietro al culo, la Marianna non torna più a casa (Verscio). 3. Altri significati 3.1. nottola del mulino, grosso ferro a doppia coda di rondine fissato all’albero e incastrato nella parte inferiore della macina superiore, alla quale trasmette il movimento rotatorio (VMa., Vergeletto); bronzina entro cui gira l’estremità inferiore dell’albero del mulino (Brione Verz.). 3.2. nell’uso singolare come in quello plurale, il termine viene impiegato nei distretti di Riviera, Blenio e Leventina per indicare le costellazioni di Orione, dell’Orsa Maggiore e Minore o i singoli astri che le compongono, in particolare le tre stelle del Cinto di Orione (v. anche  falciáir). 4. Toponimi Còsta d falc, pascolo alpestre (S. Vittore, Arvigo) [52]; qui forse anche il deriv. Falciöö, pendio ripido con selva (Carona [53]). 5. Derivati falciada; falcèda (Olivone, Stampa), falscèda (Lodrino), falsciada (Arbedo-Castione, Lumino, Chironico, Brissago, S. Domenica), falzada (Linescio), faucèda(Lev.), fauciada(Bodio), fauscèda (Mesocco), fausciada (Soazza), folciada (Rovio), sfalcèda(Breg.), sfalsciada(Poschiavo), sfauscèda (Mesocco), sfolcèda (Castasegna), sfolsciada (Poschiavo), sfulcèda (Vicosoprano) s.f. 1. falciata, colpo di falce fienaia, di roncola. – 2. Quantità di fieno o cereale recisa con un colpo di falce; striscia d’erba falciata (Ons.). – 3. falciatura (Vergeletto). – 4. Prato di piccole dimensioni (Biasca, Broglio). – 5. incisione praticata nel legno con la roncola (Brissago). sfalciaa (SopraP.), sfalsciaa (Stampa) s.m. 1. Colpo di falce. – 2. Quantità di fieno recisa con un colpo di falce (Stampa). sfolciaaagg. Malfatto, dai lineamenti grossolani (Melide). sfolciagè, sfulciagè v. falciare senza cura, irregolarmente (SottoP.). V. inoltre  falcèla, falcéta, falcétt, falcigia, falcín, falción, falciòtt, falsciòla, folcíl 6. Composti portafalc(Bell., Loc., Mesolc.), portohalsc(Gorduno) s.m. Gancio di ferro infilato nella cintura, sul quale si porta appesa la roncola. Dal lat. făLCe(M) ‘falce, falcetto, roncola’ [54]. Pur se di genere femminile, la parola presenta in alcuni es. valmagg. forme plurali caratterizzate dall’alterazione metafonetica della tonica (che altrimenti interessa quasi esclusivamente sost. masch.) dovuta all’effetto di -i finale: fèlc(Peccia, Broglio), fèlsc(Menzonio [55], Cavergno [56]), fèlz (Linescio). – Per l’impiego della roncola come arma cfr. il mil. fòlc magnanna«arme offensiva e difensiva che sogliono aver seco i campari, li acquajuoli, ec., e, per lo più, a cintola» [57]. – il significato astrale al par. 3.2. è diffuso in un’area alpina che comprende il Trentino, il Veneto e il Grig. rom. [58]. – il deriv. sfolciagè presenta il riflesso del suff. -iDiāRe. B i b l.: AiS 3.542, 7.1403, CheRuB. 2.146, Giunte 89, 5.67, MOnTi 73, App. 36, hOBi, Sichel, DRG 6.503-510, GPSR 7.203-207. [1] QGi 57.148. [2] BSSi 11.241. [3] BSSi 31.92. [4] AMC 2001.126. [5] BeffA125. [6] DSS 4.610. [7] GiAnDeini, Lavór 42. [8] DOSi 2.72. [9] GiACOMeTTi 92. [10] GiACOMeTTi 92. [11] LAMPieTTi BAReLLA100. [12] BASSi, Poesie 96. [13] GALfeTTi 147. [14] LAMPieTTi BAReLLA 12. [15] DOSi 3.150. [16] GiAnDeini, Lavór 30. [17] BeRnARDi68. [18]MAuRiziO, Alm.Grig. 1982.139. [19] DOSi 3.145. [20] DOSi 4.76. [21] Cfr. SChAAD, Breg. 49-50. [22] Cfr. TOGninA, Posch. 130. [23] PeDuzzi, Previsioni 41. [24] GODenzi-CRAMeRi 290. [25] BeRnARDi 64. [26] BeffA85. [27] MAGGineTTi-LuRATi 91. [28] GiACOMeTTi 36. [29] Cfr. CeCCAReLLi, fS 98.90-92. [30] GODenziCRAMeRi 292. [31] GiACOMeTTi 184. [32] GODenzi-CRAMeRi 229. [33] DOSi 4.147; per altre varianti v. MAGGineTTi-LuRATi 95, WiCKy BAReLLA, Bofín 60. [34] Stat. Minusio, RST 5.719, cfr. MOnDADA, Minusio 83. [35] BSSi 11.241. [36] BSSi 11.244. [37] BiAnCOni, Linguaggi 165. [38] BSSi 31.91. [39] AMC 2001.129. [40] Cfr. PinAnA, fS 62.26. [41] LuRATi-PinAnA 227. [42] BinDA SCATTini, fS 70.21. [43] PinAnA, fS 60.6. [44] AST 4.695. [45] Stat.crim.Lug. 168. [46] BOnSTeTTen, neue Schriften 145-146, cfr. BOnSTeTTen, Lettere 23. [47] SChinz 555, cfr. SChinz, Svit. 329. [48] COMeTTA, Streghe 12. [49] DSi 4.47. [50] LAMPieTTi BAReLLA100. [51] SCAMARA112. [52] Rn 1.503-516, 2.137. [53] Mat. RTT. [54] ReW 3175, feW 3.404-405. [55] SALViOni, AGi 9.237, Scritti 1.62. [56] Cfr. Merlo in SALViOni, iD 11.5, Scritti 1.421. [57] CheRuB. 5.67. [58] VOLPATi, zRPh. 52.172-173,185-186, DRG6.510; v. anche fRAu,Misc. Pellegrini 251-272, BARALe, Orione 147-155. Moretti FALCÈLA (falčla) s.f. falciola, falce messoria. V a r.: falcèla, falscèla(Posch.), folscèla(Brusio). Nualtri cöium cula falscèla; vargǘn i ségan cula falsc, ma pòch. Al gh’é nügǘn chi séga a máchina, noi mietiamo con la falciola; alcuni falciano

267 fALCÈLA fALCéTT con la falce, ma pochi. non c’è nessuno che falcia meccanicamente (Brusio). Deriv. di  falc con l’esito del suff. dim. -ĕLLA(M). Moretti FALCÉTA (falčta) s.f. falcetto. V a r.: falcéta (S. Antonino, Russo, Lug., Morbio Sup.), falcèta (Camorino, Gudo, Verscio, Cavigliano, VColla), falcéte (Medeglia, Robasacco, Bironico), falscéta(isone, indemini), falscèta(Lumino), folcéta(Rovio), fulcéta(Ludiano), halscète (Gorduno). 1. falcetto, roncola Falcéte capinade, cul manegh cürt e cul capín da tacá ala corége, falcetto adunco, col manico corto e col gancio da appendere alla cintura (Robasacco), quèsta l’è una bèla falcèta lingéra, la va bén per burundaa, questa è una bella roncola leggera, va bene per sramare (Camorino), refágh el fir ai segú e ai falcèta, affilare le scuri e i falcetti (Cimadera). 2. Traslati in alcune località del Bellinzonese e a Ludiano, il termine assume il significato di ‘dispetto, scherzo, bricconata’: al gh’a amò facc na falcèta, quéll malfabén, gliene ha ancora combinata una, quel furfante (Camorino); – a Gorduno halscète, errore, sciocchezza, balordaggine. 3. Locuzioni, modi di dire Pruibí la falscéta, vietare il falcetto: proibire il taglio degli arbusti per favorire il rimboschimento (isone); lavurá cun la falcéte, lavorare con la roncola: malamente, senza cura (Robasacco), lavór taiád gió cola falcéta, lavoro sbozzato con il falcetto: grossolano, malfatto (Sigirino); – falscéta dai bösciul, falcetto per i rovi: persona maldicente (isone); – tu è fai di pónce che s ghe pò tacá lá ra falcéta, hai cucito dei punti che si può appendervi la roncola: eccessivamente lunghi (Villa Lug.). 4. Toponimi I Falcétt, campi e case (Stabio [1]). 5. Derivati falcetina s.f. falcetto, potatoio (Sonvico). falcetgn s.f.pl. fandonie, frottole (Caviano). Deriv. di  falc con l’esito del suff. dim. -ĬTTA(M). Per il trasl., veicolato anche dal deriv. falcetgn (che presenta il pl. del suff. -ögna), cfr. il mil. folcieta‘frode, inganno’ [2] e v.  falcín, par. 2.2. B i b l.: AiS 3.542, CheRuB. 2.146. [1] Mat. RTT. [2] VAROn43. Moretti falcetada, -tín  falcétt falcetina, -tgn  falcéta falcetói  falcétt FALCÉTT (falčt) s.m. falcetto. Va r.: falcétt (Giornico, Loc., SottoC., circ. Mesocco), falcètt (Carasso, Bellinzona, VMa., Loc.), falscétt (isone, Preonzo, Brusio), falscètt (Cavergno, circ. Maggia), falsètt (Someo), faucétt (Personico, Calpiogna), fulcétt (Cabbio, Poschiavo), fulscétt (Poschiavo). 1. falcetto Al pari di  falcín, col termine sono designati diversi strumenti da taglio quali roncole, ronchette e potatoi, destinati a varie lavorazioni: falcètt par dastaiaa fòra i mèzz, roncola per tagliare i rami da comporre in fascine (Cavigliano), falcètt par pudaa la vigna, potatoio per le viti (Cavigliano). – A Brusio indica la falce messoria: al falscétt d’andá par vísiga, la falciola per andare a falciare il fieno selvatico in montagna; a Verscio è un particolare trincetto usato per tagliare il cuoio; a isone il falscétt era un piccolo coltello dalla lama adunca, usato per tagliare pane, formaggio e salumi. A Brissago designa lo squartatoio del macellaio. 2. Modi di dire Taiád gió col falcétt, squadrato col falcetto: tozzo, grossolano, malfatto, trascurato, di aspetto e modi rozzi (Grancia). 3. Derivati falcetada (Peccia, Loc., Sigirino, Sonvico), falcetade (Medeglia) s.f. Colpo di roncola. falcetín (Gamb., Mesocco), falcetígn (Verscio, Vogorno), falciatígn, falciatín(intragna), falcitígn (Cavigliano) s.m. falcetto, potatoio. falcetói s.m.pl. Soprannome degli abitanti di Berzona, frazione di Vogorno. falscetóns.m. falcetto, roncola (Preonzo). sfulcetá v. Tagliare malamente, in modo irregolare (Melide); sagomare, modellare (Mendrisio). sfulcetaaagg. Malfatto, dai lineamenti grossolani (Melide). Deriv. di  falccon l’esito del suff. -ĭTTu(M). Alcuni deriv. potrebbero anche dipendere da  falcéta. B i b l.: AiS 3.542, CheRuB. 2.146. Moretti

268 fALCh fALChéTT FALCH1 (fálk) s.m. falco. V a r.: falch (SottoC.), falche (Cimadera). 1. Denominazione comune per il falco pellegrino [1] e altre specie di rapaci diurni. 2. Al fig., persona ardita, sfrontata, aggressiva, rapace, avida. 3. Locuzioni 3.1. A Riva S. Vitale, falch gròss, falco grosso: falco pellegrino, falcone. 3.2. Öcc da falche, occhi di falco: sguardo acuto, fiero, imperioso, rapace (Cimadera). 4. Derivati falchígns.m. falco e altre specie di rapaci diurni (Campo VMa.). falcón, falcún; falcóm(Mergoscia) s.m. falco pellegrino, falcone. Toponimi: Pian falcón, pianoro comprendente un prato, un vigneto, una stalla e una cascina (Camorino), Mött del falcún, elevazione sulla valle che fa da confine naturale tra Montecarasso e Sementina (Montecarasso) [2]. – il cognome Falconi è attestato già anticamente a Contone, Ponte Tresa, Rovio, e in anni più recenti a Bellinzona, Lodrino, Rossura, Mosogno, Vacallo [3]. È l’it. falco [4]; falcón (par. 4.), che in sincronia sembra un deriv. di falch, riflette in realtà il lat. tardo fALCōne(M) ‘falco’ [5]. B i b l.: MOnTi 73, App. 36. [1] STuDeR-VOnBuRG, uccelli svizz. 49. [2] Mat. RTT, RTT Montecarasso 155. [3] nomi di famiglia3 1.523. [4] ReW 3158, SALViOni-fARé, Postille 3158, Dei 2. 1586, DeLi2 556. [5] ReW3158, SALViOni-fARé, Postille 3158, ReP 601. Galfetti FALCH2 (fálk) agg. Dal mantello di colore marrone chiaro, pallido, bianco: specialmente di bovino (Breg., Posch.). 1. Lan galina l’énn da spéss bèrta, lan vaca falca, le galline sono spesso pezzate di bianco e nero, le vacche chiare di pelo (Bondo). – Come appellativo (e anche come nome proprio), falca, vacca dal mantello chiaro, bianco. 2. Derivati falchétt s.m. Vitello di un anno (Breg.). Voce comune al rom., ai dial. dell’alta Valtellina (Bormio, Valfurva) e al lad. dolomitico [1]. – Rimanda all’a.a.ted. falch ‘falbo, pallido, scialbo; (animale) dal pelame chiaro’, nella fattispecie, considerata l’area sv.it. interessata, attraverso lamediazione dello sv.ted. falch ‘id.’ [2]. – L’accezione del derivato si motiverà con la colorazione chiara del pelo nei vitelli di quell’età. B i b l.: MOnTi 73. [1] DRG 6.46, hD 1.306, DeLT 1.1102, eWD 3.195196. [2] ReW 3174, SALViOni-fARé, Postille 3174 (e 3158), Rn 2.136, Schwid. 1.797, GuARneRiO, Vocab. breg., DeLT 1.1102, eWD 3.195-196. Galfetti falchetín, -tón  falchétt FALCHÉTT (falkt) s.m. falco, falchetto. V a r.: falchétt, falchètt; falètt (Sementina, Montecarasso, Biasca, Ludiano), farchètt (Brione Verz.), felètt (Biasca), halchètt (Gorduno). 1. Denominazione comune per varie specie di uccelli rapaci diurni del genere falco, Accipitre e Circo (falco pellegrino, gheppio, smeriglio, lodolaio, astore, sparviero, albanella e simili): di ulcéi da rapina as tròva chilò l’áquila, al gavinèll, al falchétt, la ciguèta, di uccelli rapaci qui si hanno l’aquila, il falco, il gheppio, la civetta (Vicosoprano [1]), èltar ulcéi sulvadagh énn i còrv, la curnagia, i sciòr, i sprér e i falchétt, altri uccelli selvatici sono i corvi, le cornacchie, i gracchi, gli sparvieri e i falchi (Bondo [2]), el falchétt l’é gulòu dént int el recint e l’a burdelòu tuten la galinen, il falco è piombato dentro il recinto e hamesso in subbuglio tutte le galline (Mesocco [3]), lassass portaa vía i galinn dal falchètt, lasciarsi portare via le galline dal falco (Menzonio), quiún fópal lubiétt a scascigá la bóra e l falchétt, qualcuno fuori sul ballatoio a scacciare la poiana e il falchetto (Loco [4]). L’aggiunta di una specificazione consente alcune distinzioni tassonomiche, quali: falchétt d’aqua(GerraGamb., Gandria, Viganello, Rovio, Riva S. Vitale), … aquiröö (Viganello), falco pescatore oppure falco di palude; – a Riva S. Vitale, falchétt bianch, falco bianco: biancone; – falchétt cenerín, falco cenerino: albanella (Locarno, Viganello); – falchétt gris, falco grigio: falco pellegrino (Loco), sparviero (Castasegna); – a Rossura, falchétt gröss, falco grosso: falco pellegrino; – falchétt da palǘd, falco di palude: albanella (generalm.); – falchétt róss, falco rosso: gheppio (Mendr., Castasegna), poiana (Comologno), specie di falco di dimensioni minute (Loco, Castasegna); – falchétt dal vént, falco del vento: che si sente stridere in giornate ventose (Auressio).

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